mercoledì 6 novembre 2013

IL GOVERNO E IL VOLO DELLA FENICE

                                                                di Massimo Colaiacomo
 
     Era un grande film di Robert Aldrich, con un cast tutto maschile, quello che nel 1965 spopolò nelle sale cinematografiche. "Il volo della Fenice" raccontava la storia di un gruppo di uomini il cui aereo era stato costretto a un atterraggio di fortuna nel deserto libico. Dopo mille vicissitudini, e persa ogni speranza di ricevere i soccorsi, un ingegnere del gruppogene l'idea di smantellare l'aereo precipitato per costruirne uno più piccolo e tentare un volo di fortuna. Gli attimi di maggiore suspence coincidono con i tentativi di accensione del motore. I superstiti hanno sette cartucce per l'accensione ma è soltanto con la sesta che riescono a riavviare il motore e a far decollare l'aereo.
     La metafora sembra quanto mai attagliarsi alla condizione dell'Italia. Quante sono le cartucce a disposizione del governo di Enrico Letta per tentare di riavviare il motore della - un tempo - settima potenza industriale del mondo? Poche, meno delle sette rimaste all'equipaggio dell'aereo del film. E quelle finora impiegate non hanno fatto neanche vibrare l'aereo del bimotore. Far ripartire l'economia, cioè la crescita, significa aver messo da parte scorte di carburante e il consumo maggiore, come si sa, è proprio nella fase di rullaggio e decollo. Una volta in quota, il volo si autoalimenta se il pilota sarà bravo a studiare la direzione dei venti.
     Fuor di metafora, l'esecutivo di Enrico Letta ha finora badato ad evitare le zuffe troppo frequenti fra i ministri e all'interno della sua maggioranza. Anche se in quest'opera non può certo dirsi aiutato da un ministro dell'Economia estemporaneo, improvvisato e improvvisatore. È molto grave il comportamento di Fabrizio Saccomanni. L'idea di far vivere i contribuenti sul filo della corda, di annunciare ipotesi di tasse o di ritorno dell'Imu, è un comportamento troppo dilettantesco e inspiegabile se non ha alle spalle un retropensiero o uno scenario politico diverso da quello che vediamo.
     L'outlook della Commissione Ue sulle prospettive della finanza pubblica italiana è in qualche misura assimilabile all'ultima chiamata e le risposte attese dall'Italia sono in tutto simili all'ultima cartuccia a disposizione del governo prima del naufragio suo e del Paese.
     La ricetta suggerita con la frequenza di un rosario da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina risuona come una vox clamans in deserto, rimanere paralizzati di fronte alla grandezza dell'impresa significa averla persa in partenza. L'Italia non è sull'orlo del precipizio, ma lo ha superato da un pezzo e si trova nella fase in cui la luce esterna si smorza velocemente prima di essere risucchiati nel buio. La riforma del lavoro è al palo; gli incentivi per l'assunzione dei giovani purché a tempo indeterminato non aiutano una sola assunzione; se anche in Italia non si diffonde la cultura della polizza privata da affiancare alla spesa pubblica il sistema sanitario ingoierà il poco che resta del Paese; le Regioni si sono rivelate  l'Idra a sette teste che ha consumato le finanze pubbliche ben oltre gli scandali e i fenomeni corrutivi. Abolire le Province, ridimensionare le Regioni e, soprattutto, non gridare allo scandalo se si sottrarre il sistema sanitario al controllo delle Regioni per ricondurlo al controllo statale. Il ritorno alle Casse Mutue, che tante prove eccellenti diedero nell'immediato dopoguerra, significherebbe allineare l'Italia al modello tedesco o francese. Lo Stato paga una quota per l'assistenza sanitaria, un'altra è a carico del mutuato. L'assistenza diventa così gratuita per i senza lavoro e i disoccupati, ma non per chi lavora o gode di una pensione oltre una certa soglia di reddito.
     L'esecutivo ha scelto una strada perdente e confermata tale nel corso dei decenni. Le tasse, vecchie o nuove, sono le cartucce bagnate usando le quali nessun motore potrà mai essere riavviato. Tagliare il cuneo fiscale, per di più nella misura irrisoria che si profila, non porta da nessuna parte. Anzi, porta soltanto a un ricorso alla Corte Costituzionale per discriminazione nei confronti delle categorie di reddito diverse dal lavoro dipendente (pensionati, autonomi ecc.).
     Serve all'Italia una cura drastica di alleggerimento fiscale: 50 o 60 miliardi da distribuire a tutti i contribuenti, ai redditi bassi come a quelli un tempo medio-alti e oggi prossimi alla fame. Dove reperire le risorse? Chiudendo le Province; ridimensionando le Regioni; obbligando i piccoli Comuni ad associarsi in consorzi per abbattere le spese di gestione d di servizi; vendendo (anzi: svendendo, per fare prima) tutte le aziende municipalizzate. È possibile? Sì, tutto è possibile. Il paziente portato in sala operatoria perché colpito da un ictus ha pochi minuti che lo separano dalla guarigione o dalla morte perché il suo cervello è rimasto senza ossigeno anche solo per pochi secondi. L'Italia è quel paziente. La responsabilità invocata dal presidente della Repubblica è, detto con rispetto, l'ultima e più inutile delle qualità necessarie  al governo. Più utile è il coraggio invocato da Alesina e Giavazzi.

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