domenica 15 dicembre 2013

LETTA-ALFANO SOTTO LO SCIAME SISMICO DI RENZI

di Massimo Colaiacomo

Non c'è nessuna rottura all'orizzonte fra Renzi e Letta, ma non si vede neppure né il tempo né lo spazio per scrivere quel "patto" sulle riforme così solido e impegnativo da poter durare 15 mesi. L'incoronazione di Renzi leader del PD è avvenuta nel rispetto parziale delle liturgie di un tempo. Renzi ha smorzato i toni da palingenesi, ora che è segretario non gli sono consentiti. Ma non li ha abbandonati del tutto. Il suo discorso è stato un aut-aut non al governo ma agli alleati di maggioranza. O si fa così sul lavoro, sulle unioni civili, sulla Bossi-Fini oppure è "il pantano" e al PD, che porta il fardello del governo, tutto si può chiedere ma non di impantanarsi in nome di una astratta governabilità. Le sneakers che Letta indossava ieri, Renzi vuole metterle a tutto l'esecutivo per costringerlo a un cambio di ritmo.
Da ieri la sfida del sindaco ha un percorso più articolato, ma l'obiettivo è rimasto intatto. Disegnare per il governo l'orizzonte temporale di un mese entro cui fare la legge elettorale, la riforma del lavoro e non si sa quante altre cose, ricorda un po' l'ansia febbrile del vecchio massimalismo Anni '60 che Nanni Balestrini riassumeva nell'aforisma nenniano: "non sappiamo che cosa vogliamo, ma lo vogliamo tutto e subito".
Renzi ha colorato il suo discorso con qualche nuance populistica per lanciare la sfida a Grillo: un prezzo inevitabile da pagare per tentare di "agganciare" Grillo e costringerlo a combattere sul terreno della politica. Ma sul monitor del sindaco compare soltanto un bersaglio: la legge elettorale da fare prima di qualsiasi altro provvedimento.
Un'urgenza che Renzi non ha ritenuto di dover spiegare, né a Letta né a quello che da ieri è il "suo" partito. Si sa soltanto che dovrà conservare e rafforzare il bipolarismo e consentire appena contati i voti di sapere chi sarà il presidente del Consiglio e con quale maggioranza governerà. Per il resto, Renzi ha tenuto coperte le carte sui meccanismi e sulle tecnicalità. Per evitare, si presume, di mettere gli alleati nella condizione di "prendere o lasciare", il che equivarrebbe a dichiarare aperta la crisi di governo; dall'altro lato, tanta vaghezza consente a Renzi di lasciarsi aperte tutte le porte, per avere una legge elettorale approvata dalla "maggioranza residuale" o, in alternativa, da una maggioranza diversa. Difficilmente potrà cogliere l'obiettivo di avere insieme il voto di Alfano e Berlusconi, in aperta rotta di collisione, almeno fino a ieri, con il Cav favorevole al Mattarellum e Alfano al meccanismo del "sindaco d'Italia", maggioritario non si sa quanto ma sicuramente doppioturnista.
Come si regolerà Renzi di fronte a una matassa tanto intricata? Aspetterà che siano gli altri a fare la prima mossa, per capire quanto accidentato può essere il terreno di un'intesa, oppure lancerà la sua proposta con il rischio di trovare il primo Quagiariello che passa e proclama la crisi?
Forza Italia e Berlusconi per ora stanno a guardare. Il Cav ha lanciato un amo rispolverando, come Grillo, il Mattarellum. Renzi non ha battuto ciglio. Ma per Forza Italia, come per Grillo, c'è un problema che precede la legge elettorale: chi sarà il loro candidato premier? Il PD ha sciolto questo nodo. Si può supporre che il Cav aspetti di conoscere le disponibilità dei potenziali candidati prima di avanzare una proposta sulla legge elettorale. E anche Grillo non potrà sfuggire, come a febbraio, dall'obbligo di avere un candidato premier: quesa esigenza nel Mattarellum era più avvertita che nel "porcellum".
Sono ancora diverse le tessere del mosaico da mandare al loro posto. Le sortite di Renzi sul programma del governo (dalle unioni civili all'abolizione della Bossi-Fini) sono il tentativo scoperto, come ha riconosciuto un politico di razza quale Rosy Bindi, di alzare la temperatura fra gli alleati di governo, per provocarne la reattività. C'è da scommettere che una volta ottenuta la legge elettorale, con Alfano e gli altri che tengono botta e resistono, Renzi tornerà alla carica su qualche tema scabroso nel tentativo di provocare reazioni di rottura negli alleati. Il problema del sindaco fiorentino è di trovare qualcuno che gli levi le castagne dal fuoco, provocando la crisi di governo che il PD per evidenti motivi non può provocare.
Questa non è la strategia di Renzi, si sostiene da Palazzo Chigi, ma nessuno sa dire quale sarebbe l'alternativa a questo orizzonte. L'idea del "patto" è un espediente da assemblea, e ha funzionato egregiamente per mostrare, dopo alcuni anni, un PD finalmente unito attorno al suo segretario e nel sostegno al governo. Domanda: un PD unito attorno al segretario che ha fretta di portare a casa risultati, e unito attorno a un premier che deve camminare sulle uova per non rompere equilibri tenuti su con lo spillo, quanto può resistere senza finire in una crisi di nervi? Casini ha mostrato di avere intuito quanto il cambio di marcia voluto da Renzi finirà in tempi brevi col ripercuotersi sul governo. Il fiuto di un vecchio democristiano, sia pure acciaccato da mille battaglie, è rimasto intatto. Dovendo riaggiustare la linea in vista di nuove alleanze, Casini anticiperà tutti di qualche secondo nel salutare la maggioranza.

Il punto rimane sempre lo stesso: ma Berlusconi quale premier dirà di votare agli italiani? Finché questa domanda rimane senza risposta, Enrico Letta potrà contare su una navigazione relativamente tranquilla. Dopo, cambierà tutto e lo sciame sismico di Renzi potrà trasformarsi in un sisma vero e proprio. 

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