mercoledì 16 ottobre 2013

L'ITALIA NELLA BONACCIA DELLA STABILITÀ. LETTA DEVE SPERARE NELLA BUONA STELLA


di Massimo Colaiacomo

È un brodino ristretto la legge di Stabilità uscita dal Consiglio dei ministri. Le tasse non sono il profluvio da tanti temuto, ma ci sono. I tagli alla spesa si leggono in controluce. I vantaggi fiscali per famiglie e imprese sono quasi impercettibili. Si può onestamente dire che la finanziaria della svolta, come enfaticamente era stata annunciata dal premier Letta, è in realtà un provvedimento per la sopravvivenza. Da buon democristiano, Letta confida nella ripresa dell'economia mondiale e cerca di attrezzare l'Italia per prendere un po' di vento alle vele. Ma quello che si legge sui giornali di stamane, e in attesa di vedere come quel vestito uscirà dalla sartoria parlamentare, non autorizza  rosee previsioni.
Letta ha fatto quel che poteva, cioè poco. Lo shock da molti atteso - a cominciare da Confindustria e dai sindacati - non c'è stato e l'Italia continuerà a navigare sottocosta. Timidi o inesistenti gli interventi strutturali. Solo un atto di cortesia gli sgravi fiscali. Da capire come sarà modulata la tassazione sulla casa che, piaccia o non piaccia al PdL, esiste in ogni angolo della Terra sia pure nella forma di una service tax. Perché è evidente anche alle pietre, che i servizi pubblici collettivi e individuali necessari per vivere in un'abitazione moderna hanno un costo e ogni cittadino deve contribuire.
A colpire negativamente è la filosofia complessiva dei due disegni di legge licenziati ieri sera dal Consiglio dei ministri. Ogni misura è stata distillata con l'alambicco delle vecchie preparazioni galeniche. Valga per tutte l'esempio del taglio al cuneo fiscale, considerato da Letta il cuore della finanziaria. Si tratta di 2,3 miliadi per il 2014 da dividere fra lavoratori (1,5 mld) e imprese (800 mln). Se così stanno le cose, si può dire che quel cuore è allo stremo e prossimo a cessare. Si immagina di rilanciare i consumi mettendo 7 o 8 euro al mese in più nelle buste paga dei lavoratori con reddito inferiore ai 55 mila euro lordi annui?
È di tutta evidenza che quello del governo è un semplice wishful thinking, un desiderio destinato a non realizzarsi mai. Letta e il governo potranno obiettare che il governo italiano ha messo nell'operazione quello che le condizioni della finanza pubblica consentono in questo momento, e il resto dovrà venire dall'Unione europea e da una decisa accelerazione delle politiche pro-crescita. C'è del vero in questa argomentazione, ma essa non toglie che gli sforzi del governo italiano su questo versante sono al momento davvero irrisori.
Capitolo a parte è quello della spesa sanitaria. C'è una leggenda metropolitana messa in giro dai difensori della spesa pubblica secondo cui in Italia la spesa sanitaria è inferiore di 1 o 2 punti percentuali rispetto alla spesa sanitaria di Germania, Francia e in genere i Paesi della UE. Nessuno di questi difensori ferma mai il suo sguardo sulle tabelle del PIL: quello italiano è in caduta libera da alcuni anni di 2 o 3 punti percentuali rispetto a quello di altri Paesi europei. Quando il segno negativo sparisce, lascia posto a un frazionale positivo 0,. Nella sanità, terreno di approvvigionamento della politica e fonte di una corruzione senza confini, si può intervenire con tagli mirati ma incisivi. Non si tratta di ridurre i servizi, ma se dopo vent'anni che ci si interroga sul perché una siringa costi 100 a Milano e 500 a Messina o 700 a Napoli e ancora non si è trovata la risposta, vuol dire quanto meno che la politica non intende mettere mano a quel bubbone perché da esso scorre linfa vitale per le casse dei partiti.
In ogni demcorazia moderna, ispirata a criteri di equità e giustizia sociale, il finanziamento dei servizi pubblici collettivi e individuali dovrebbe rispecchiare il più democratico dei principi: lo Stato finanzia in base all'andamento della ricchezza disponibile. Se nel 2013 il Pil  è sceso del 2,8% lo Stato dovrebbe ridurre della stessa percentuale il finanziamento per la sanità, il trasporto pubblico ecc. Altrimenti è stata una solenne presa in giro l'aver introdotto in Costituzione, all'art. 81, l'obbligo del pareggio di bilancio.

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