giovedì 10 ottobre 2013

GRANDI AMBIZIONI PERSONALI MA CORTA VISIONE POLITICA PER LETTA E ALFANO


        di Massimo Colaiacomo

          Le ambizioni personali sono grandi, come è giusto che sia per protagonisti con la loro anagrafe. Ma sono ambizioni claudicanti, malferme, generate all'interno di quel campo di gioco sempre più asfittico che è la politica italiana. Stiamo parlando del presidente del Consiglio Enrico Letta e del suo "vice" Angelino Alfano. Entrambi freschi di una vittoria politico-parlamentare che promette di dargli ossigeno nuovo per alcuni mesi. Alfano ha "strappato", come si è visto, rispetto al padre politico, una mossa criticata ma che, in fondo, è stata salvifica per Silvio Berlusconi e il PdL altrimenti condannati a un ruolo di minoranza dopo anni da protagonisti sulla scena.
Enrico Letta avrebbe trovato un modus vivendi con Matteo Renzi. Nel senso che il sindaco si troverà la strada spianata per la segreteria del Pd, in cambio, però, non disturberà il manovratore da Palazzo Chigi almeno fino al primo semestre del 2015. Tutto bene per l'Italia? In parte sì, nel senso che l'Araba Fenice della stabilità per qualche tempo se ne sta in gabbia.
Ovviamente è da chiedersi se si tratta di una stabilità che ci porta all'immobilismo oppure le biglie ferme della politica daranno a Letta e Alfano l'ardimento finora neppure mai intravisto per fare quelle scelte coraggiose da pochi invocate e da molti temute. Alcuni atti fanno propendere purtroppo per la prima ipotesi.
Proviamo a spiegare meglio. Il governo si prepara a tagliare il cuneo fiscale, vale a dire il prelievo a due mani che lo Stato fa ogni mese alleggerendo lo stipendio dei lavoratori e facendo pagare oneri pesanti alle loro aziende. Hai un reddito di 3000 euro lordi? In tasca ne arrivano 1700. In sostanza, perché tu possa portare a casa 1700 euro, il datore di lavoro deve metterne 3000 in ballo. Lo Stato è il socio occulto nel rapporto fra lavoratore e azienda e riscuote la sua parte senza colpo ferire.
Il governo pensa di intervenire riducendo la "mano morta" dello Stato di 4-5 miliardi. Quanto va in tasca al lavoratore e quanto rimane nelle casse dell'azienda? Briciole, briciole offensive e umilianti. Nell'ipotesi di un taglio del cuneo di 5 miliardi, essi vanno divisi equamente: 2,5 miliardi ai lavoratori, e altrettanti alle aziende. La popolazione attiva e con contratti in regola è in Italia, secondo stime dell'Inps, intorno ai 21,5 milioni. Quanto va in tasca a ciascuno di essi? Dividete 2,5 miliardi per 21,5 milioni e si scoprirà che ciascun italiano regolarmente al lavoro avrà dal primo gennaio circa 9 euro in più al mese. Moltiplicati per 13 mesi fanno circa 117 euro all'anno. Se l'impresa ha cinquecento dipendenti, risparmiando 9 euro per ciascuno di essi, risparmierà circa 58.500 euro all'anno. Tutto ciò quanto potrà aiutare la ripresa dei consumi o quanto meno l'uscita dalla stagnazione per molte famiglie? E quanto ossigeno in più darà alle aziende alle prese con il credit crunch? Non serve arrovvellarsi molto per trovare una risposta a questa domanda.
Tornano più che mai attuali i moniti a più riprese lanciato da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina dalle colonne del Corriere della Sera quando esortano il governo a prendere il toro per le corna e tagliare il cuneo fiscale di 40 o 50 miliardi di euro. Che significa moltiplicare per 8 o per 10 i vantaggi di lavoratori e imprese rispetto ai 5 miliardi ipotizzati dal governo. Significa cioè che il lavoratore di cui sopra si trova fra 900 e 1170 euro in più in busta paga durante l'anno e quella stessa imprese con 500 dipendenti si troverà in cassa fra 468.000 e 585.000 euro da reinvestire.
Le cifre modeste fin qui circolate a proposito del taglio del cuneo fiscale hanno un effetto leva estremamente limitato, prossimo allo zero, ai fini del mercato dei consumi. Esse non saranno sufficienti neppure a coprire il rincaro dei ticket dei bus in città o qualche imprevisto aumento dell'energia elettrice o del gas.
Dove prendere risorse tanto importanti, infine, è la domanda scontata che una politica allo stremo ripete ogni volta. Sono da prendere dove sono state malamente messe per anni senza vantaggio per nessun cittadino tranne che per i percettori di stipendi erogati per lavori socialmente "inutili". Battute a parte, ma 135 miliardi di spese per beni intermedi (cancelleria, timbri, penne, fax, risme di carta) sono davvero spese incomprimibili riducendo le quali si ferma la macchina amministrativa?
Ultima curiosità: qualcuno sa dire qual è l'azienda che più si avvantaggia dal taglio del cuneo fiscale? La risposta è semplice: lo Stato. Avendo il maggior numero di dipendenti sotto diverse amministrazioni (quella centrale, poi Regioni, Province, Comuni, Enti e aziende pubbliche) lo Stato, risparmiando un minimo di 9 euro al mese per 13 mesi per ciascuno dei circa 4,4 milioni di dipendenti tratterrà in cassa oltre 510 milioni di euro all'anno. Un bel gruzzolo da spendere chissà come. Magari qualcuno penserà anche di ridurre il debito.

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