domenica 4 agosto 2013

LETTA VA AVANTI, MA SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA IL PD RISCHIA DI ESPLODERE


di Massimo Colaiacomo

Il berlusconismo è una pianta dalle radici ampie, ramificate e solide. Sradicare il tronco di quella pianta dalla vita parlamentare non è un'operazione indolore: né per il tronco, né per il Parlamento né per il Paese. Conforta ascoltare, dopo le reazioni urlate dei primi momenti, le voci tornate a farsi ragionevoli nel campo del PdL. La guerra civile non avrà luogo per la condanna di Berlusconi, semmai un simile rischio potrebbe essere alle porte con la caduta del governo Letta, come ha osservato il segretario della Cisl Raffaele Bonanni.
A Berlusconi giungono in queste ore parole di solidarietà e di comprensione da quel vasto arcipelago che comprende i possibili, futuri soci di un centrodestra rinnovato: da Montezemolo a Casini a Monti. Interessate quanto si vuole, le reazioni di questi protagonisti convergono però nel riconoscere l'accanimento giudiziario contro Berlusconi e la necessità di riformare la giustizia. Esse danno voce  al sentimento di forte preoccupazione che percorre tutto il quadro politico, con conseguenze però molto diverse. Se la condanna di Berlusconi ha visto ridursi gli attriti polemici fra il centrodestra e le formazioni centriste, essa ha invece ulteriormente inasprito lo scontro interno al Pd le cui correnti, fino a ieri tenute insieme dall'antiberlusconismo, sono oggi divise sulla gestione del post-berlusconismo. Matteo Renzi, come si sa, tiene sotto tiro il governo e ripete che esso va avanti "se fa" quel che serve al Paese, a prescindere dalla vicenda giudiziaria di Berlusconi. A Bersani, invece, voci di corridoio attribuiscono l'intenzione di far dimettere Letta in contrasto con il PdL così da averlo disponibile come candidato del centrosinistra e bloccare così la candidatura del sindaco di Firenze. Sono, come si vede, manovre asfittiche da parte di un ceto politico perso dietro miserevoli tattiche per sopravivvere a se stesso. Da qui vengono le insidie maggiori per Letta il quale, da politico avveduto e mal disposto a certi giochi, tutto può pensare tranne che di autoaffondarsi per risorgere candidato a capo di una coalizione di sinistra che dovrebbe comprendere anche i suoi attuali oppositori, come Vendola.
C'è da osservare che quella dell'antiberlusconismo è diventata, dopo la Cassazione, una carta farlocca se davvero la crisi politica dovesse avvitarsi e sfociare nel voto anticipato, ipotesi remotissima allo stato dell'arte. Come si potrebbe usare, per vincere, quella carta nel momento in cui si andasse alle urne e quindi a caccia dei voti moderati e fino a ieri berlusconiani? Di questi e simili interrogativi si nutre lo scontro infuocato dentro il Pd.
Ha ragione Casini, che lo conosce da una vita e ha imparato, anche a sue spese, ad apprezzarne le doti di tempismo e intelligenza politica, quando profetizza le dimissioni di Berlusconi da senatore. E' il modo più spedito per rimuovere ogni ostacolo sulla via del governo e incanalare quella riforma della giustizia in assenza di colui che viene ritenuto il principale beneficiario. Con Berlusconi fuori dal Parlamento, Grillo, Vendola e il Pd dovranno trovare altri alibi per opporsi a ogni riforma della giustizia. In particolare, il Pd dovrà mettere sul piatto della bilancia la vita del governo Letta: senza quella riforma, si offre al PdL un'autostrada per le urne dove potrà arrivare sbandierando la connivenza fra un pezzo della magistratura e la sinistra di origine comunista. E, c'è da giurare, non sarebbe un buon viatico per quella platea elettorale che, sfuggita alle sirene berlusconiane, ritiene tuttavia necessario ripristinare un equilibrio fra la politica e la magistratura.
Come si vede, da qualunque lato si guardi alla scena politica in queste ore, è difficile per chiunque immaginare una corsa verso il voto perché, in queste condizioni, equivarrebbe a una corsa verso il vuoto. Non è interesse di Berlusconi, per le considerazioni fatte. Non lo è del Pd, diviso al suo interno e a un passo dalla deflgrazione. Letta può andare avanti, facendo salire di importanza nella sua agenda la riforma della giustizia e, si può scommettere, ritrovando maggiore libertà d'azione nelle politiche fiscali e di bilancio la cui importanza da oggi sarà meno rilevante nei calcoli politici del PdL. Questo riequilibrio nei programmi di governo e nelle prospettive politiche della legislatura è un passaggio difficile, superato il quale la scena politica potrebbe presentarsi completamente rinnovata, come e più di un passaggio elettorale.
Per centrare questi obiettivi sarà ancora una volta decisivo il ruolo del presidente della Repubblica. Dai suoi stimoli e dai suoi input sempre meno esortativi e sempre più vincolanti dipenderanno le sorti della legislatura.

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