martedì 13 agosto 2013

IL DOPO-BERLUSCONI È NELLE MANI DI BERLUSCONI


di Massimo Colaiacomo     
     Dopo Silvio Berlusconi, che si prepara molto nolente e per niente volente, a risalire dal campo della politica non ci sarà un altro Berlusconi pronto a scendervi. La primogenita Marina, presidente di Fininvest e Mondadori, ha tagliato corto con la ridda di voci che la davano pronta a rilevare il ruolo del padre per consumare una vendetta di sangue contro coloro che ne hanno decretato la fine politica. Non sarà così. Con una puntigliosa nota diffusa nel pomeriggio, Marina Berlusconi ha ribadito "ancora una volta, e nel modo più categorico" di non aver "mai preso in considerazione l'ipotesi" di impegnarsi in politica.
     La pietra tombale messa da Marina Berlusconi su questa ipotesi non è una notizia irrilevante per gli equilibri di governo ma anche nel confronto interno al PdL. Senza la successione dinastica, che avrebbe di fatto congelato gli attuali equilibri, e in prossimità del ritiro di Berlusconi, il PdL diventa un partito contendibile dall'interno ma anche una forza spendibile in un rinnovato e più ampio sistema di alleanze. Si innescano dinamiche fra loro contrapposte e destinate, senza una forte coesione del gruppo dirigente, ad alimentare possibili spinte centrifughe con il rischio di scissioni. Il dopo-Berlusconi senza più un Berlusconi al timone del centro-destra è soltanto agli inizi, ma avviato ben oltre le intenzioni del suo protagonista.
     Dal vecchio gruppo dirigente del PdL nessuno sembra al momento in grado di riorientare la strategia del partito sul governo. Lo stesso Berlusconi, che agita la clava dell'IMU sul tavolo di un negoziato impossibile in nome di un' "agibilità politica" che nessuno, e Napolitano meno di altri, può assicurargli, sa di giocare una partita disperata il cui esito è solo in parte nelle sue mani. Può decretare la fine del "governo di servizio" ma sarebbe un azzardo politico dalle conseguenze imprevedibili. Una scelta simile presuppone un PdL coeso al di là di ogni ragionevole intenzione e pronto a seguire il suo leader nel precipizio elettorale dal quale riemergere, magari vincitore, ma in un quadro di macerie politiche e istituzionali.
     Senza trascurare il fatto che da una eventuale crisi di governo al voto ci sono passaggi non proprio irrilevanti da consumare. Come reagirà il presidente della Repubblica, risoluto a non sciogliere il Parlamento senza che abbia prima approvato la riforma elettorale? E quale riforma si può essere in grado di varare con una maggioranza ridotta a un lago di veleni? Aperta la crisi, quali dinamiche si mettono in movimento all'interno del Pd e in particolare del PdL?
Berlusconi non candidabile e fatto decadere dal Senato è un leader sul viale del tramonto politico. Ma sarebbe sbagliato considerare finita la sua influenza sulla società italiana che rimane intatta e, se possibile, accresciuta per via del martirologio cui lo hanno consacrato vent'anni di corride giudiziarie (difficile trovare un altro italiano che abbia, come Silvio Berlusconi, subito 41 processi 41 ...).
     La crisi di governo sarebbe l'atto finale di un leader disperato, un uomo solo che spara un colpo nella notte. Consegnarsi alla storia come colui che ha affondato un governo e condotto il Paese nel baratro finanziario come vendetta per i processi ingiusti subiti e le ingiuste condanne patite significa cancellare o collocare sotto un'altra luce il ventennio appena alle nostre spalle. Ma significherebbe anche marchiare la sua costruzione migliore - un centro-destra legittimato a governare l'Italia - di un'infamia che non merita ma che rischia di condizionarne la vita futura.
Quanti si apprestano a rivedere le loro strategie (vedi Casini) in funzione di un quadro politico che perde il suo dominus ventennale faranno bene a muoversi con prudenza. Il consenso elettorale di cui ha goduto e tuttora gode Berlusconi non è un'eredità trasmissibile. Essa non va conquistata, ma coltivata attraverso atteggiamenti e linee politiche solide e comprensibili. A cominciare da quella riforma della giustizia che ora, assente Berlusconi, nessuno potrà più cestinare o rimuovere con la scusa dei processi a Berlusconi. In fondo le leggi ad personam, a ben vedere, sono state la migliore polizza assicurativa per quella corporazione dei togati contraria a qualsiasi riforma ne mettesse in discussione privilegi e potere. Ora, senza più Berlusconi, non ci sono più alibi per nessuno. Neanche per il Pd.

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