venerdì 9 agosto 2013

PD-PDL, SCONTRO FRA DUE IMPOTENZE. SOLO LETTA PUÒ CONSUMARE LETTA


di Massimo Colaiacomo

"Non vogliamo un autunno caldo di tensioni sociali" ma una stagione "di riconciliazione con tutti quanti - giovani e lavoratori in primis - sono esasperati da quanto hanno vissuto". Erano le parole cariche di speranza, ma anche di qualche scongiuro, affidate dal premier Enrico Letta alla Tv greca Alpha alla vigilia del suo viaggio, il 29 luglio, nella capitale ellenica.
Quegli auspici sembrano evaporati, appena dieci giorni dopo. Oggi, presentando con i vertici di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) il piano industriale dell'ente, Letta ha mostrato l'altra faccia dell'autunno. "I segnali di crescita e ripresa ci sono", ma insieme ad essi il premier registra anche "il clima sociale molto faticoso e pieno di
difficoltà: è questo il rischio più grande per l'autunno". Con uno scenario incupito, i segnali di ripresa appena intravisti si attenuano fin quasi a scomparire quando Letta affaccia il timore, molto simile a una certezza, che, è vero, ci sarà la ripresa ma essa non trascinerà con sé maggiore occupazione come è nelle speranze di tutti.
Che cosa significa tutto questo? Significa che l'economia italiana ha toccato la parte bassa del ciclo economico e si prepara a beneficiare di un piccolo rimbalzo visibile però più sui grafici delle statistiche che non nella realtà delle famiglie e delle imprese. Significa, però, anche altro. Quando Letta si riferisce alla scarsità di lavoro che la ripresa potrebbe trascinare, non si rivolge a un interlocutore indistinto. Pensa a quella riforma strutturale del mercato del lavoro, chiesta esattamente due anni fa in quella sorta di "lettera scarlatta" inviata della BCE al governo Berlusconi e dimenticata nei cassetti di palazzo Chigi. Flessibilità, era la richiesta della BCE, in entrata e in uscita. E una riforma degli ammortizzatori sociali che ne abbassasse il costo e la durata, modificandone la natura di puro sostegno economico in strumento per il reinserimento nel lavoro. Si tratta, insomma, di adeguare il welfare alla crisi, e dunque renderlo sostenibile e socialmente meno punitivo verso quanti il lavoro non possono perderlo non avendolo mai trovato. Questa è la sfida che Enrico Letta ha rilanciato alle parti sociali e, in primis, a quella parte del sindacato (leggi Cgil)  dichiaratamente ostile a ogni ritocco della legge Fornero.
Questi è uno dei temi su cui l'esecutivo è atteso a una prova di coraggio e determinazione. Anche se le luci della ribalta rimangono tutte puntate sull'IMU, dopo che il Cav si è fatto vivo con un richiamo perentorio al governo: rispettare i patti firmati all'atto di nascita dell'esecutivo con l'abolizione della tassa sulla prima casa. Falso, è la replica piccata di Epifani: quei patti prevedono una rivisitazione dell'imposta con riguardo alle famiglie meno abbienti.
Per la verità, il discorso di insediamento di Enrico Letta prevedeva ogni soluzione per l'IMU. Con un lessico che più democristiano non poteva, Letta ha accennato alla necessità di "superare" l'attuale tassazione sulla casa (superare significa molte cose: perfino "abolire", termine ultimativo mai pronunciato da Letta o Saccomanni). E' dunque possibile che Pd e PdL vadano a un Armageddon sull'IMU e il governo va a casa a settembre?

GOVERNO CADE SULL'IMU? PRESSOCHÉ IMPOSSIBILE
La politica è il regno delle possibilità illimitate e, in assenza di ogni ragionevolezza o messi incidentalmente fra parentesi gli interessi corposi dei singoli protagonisti, delle cantonate sempre dietro l'angolo. Non pare però il caso dell'IMU. Le facce feroci e i toni perentori delle Santanché o della Carfagna come dello stesso Epifani sono concessioni alle rispettive tifoserie. Sul piano delle decisioni operativ si troverà, eccome si troverà, un accordo sull'IMU. Per esempio trasferendo ai Comuni la piena autonomia impositiva sugli immobili e quindi lasciando ai Sindaci la decisione finale sulla quale mettere la loro faccia. La cancellazione dell'IMU ope legis non ci sarà e il PdL non farà nessuna crisi. Non la vuole Berlusconi, anche se le fumisterie agostane con tutto il loro corredo di congetture e ipotesi fantasiose su Marina in campo, voto in autunno ecc. sono quanto mai utili per non lasciare che i cittadini possano appisolarsi sotto l'ombrellone.
L'unica decisiva partita dalla quale tutte le altre dipendono riguarda la cosiddetta "agibilità politica" che il PdL chiede di salvaguardare per il suo leader mortalmente ferito dalla condanna definitiva della Cassazione. Curioso come la stessa espressione "agibilità politica" sia fiorita sulle labbra del premier che l'ha invocata alla direzione del Pd osservando che se viene meno l'unità del partito viene giù il sistema. Se Letta si rivolge così al suo partito ha le sue buone ragioni: è dalle divisioni in quel campo che vengono le insidie maggiori all'esecutivo. Insidie non causate dalla sovrapposizione di strategie differenti ma, al contrario, dall'assenza di qualsiasi strategia. Scalzare Letta da Palazzo Chigi per fare che cosa? Per presentarsi agli elettori con quali alleanze di ricambio? E con quali programmi che non cadano sotto la mannaia del rigore di bilancio della Commissione europea?
Chi spera, o anche solo vaticina il voto anticipato in autunno come compimento di una strategia per conquistare il governo, vive fuori dalla realtà. Il solo Berlusconi, sopraffatto dalla disperazione per la condanna e risoluto a non fare passi indietro, può decidere di buttare giù il governo. Non lo farà, perché sa che ogni alternativa sarà peggiore dell'attuale. Se qualche carta ancora può giocare per salvaguardare la propria "agibilità politica" può farlo finché Letta sarà a Palazzo Chigi. Perché Letta a Palazzo Chigi è garanzia di Giorgio Napolitano al Quirinale.

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