giovedì 18 luglio 2013

RENZI VITTIMA DELLA SUA IMPAZIENZA, ORA LETTA PIÙ FORTE E PD PIÙ DIVISO


di Massimo Colaiacomo

Il presidente Napolitano ha ricevuto il tradizionale ventaglio dalla stampa parlamentare ma l'oggetto non è stato quest'anno puramente ornamentale. Si può dire che Napolitano ha agitato quel ventaglio e mandato refoli d'aria fresca a un governo da troppo tempo in affanno e con tanti dossier aperti. L'ultimo, più spinoso, è quell'affaire Ablyazov costato una figuraccia all'Italia sul piano internazionale. Sul punto, Napolitano ha mostrato una fermezza di toni favorita probabilmente dalla circostanza non protocollare. Guardando a quel campo di Agramante cui è ridotta la maggioranza di "larga coalizione" Napolitano non ha esitato ad ammonire quanti coltivassero l'ambizione di liquidare il governo Letta, tanto apprezzato all'estero, perché i danni che ne verrebbero al Paese sarebbero "irrecuperabili". Di più: mai Napolitano darebbe il suo avallo a chi lavora a "ipotesi fumose" (leggi: governo di minoranza Pd-grillini) e tutti sono invitati a togliere la mano dalla spina. Staccarla all'esecutivo Letta equivarebbe esporre l'Italia a contraccolpi "irrecuperabili".
Sarà stata una coincidenza e niente altro, ma le parole di Napolitano sono planate sull'assemblea dei senatori Pd convocata quasi nelle stesse ore per decidere l'atteggiamento da tenere quando domani, nell'Aula di Palazzo Madama, saranno messe ai voti le mozioni di sfiducia di Sel e M5S contro il ministro dell'Interno. Il Pd voterà contro la sfiducia ad Alfano ma il fatto in parte clamoroso è stata la rottura dei senatori "renziani". In pochi hanno tenuto il punto - sfiducia ad Alfano - mentre la subordinata, una mozione di censura, ha avuto sorte ancora peggiore.
L'atteggiamento di Renzi sulla vicenda Ablyazov è stato sbagliato, più della affannosa difesa pronunciata dal ministro Alfano in Aula. Il sindaco di Firenze si muove con intelligenza nella fase di impostazione delle sue battaglie ma sbaglia poi in modo rovinoso nella finalizzazione della sua strategia. Il risultato è che i richiami di Napolitano hanno improvvisamente incollato, non si sa per quanto, i cocci di un partito lacerato come mai nella sua storia e il risultato è l'isolamento del sindaco aspirante premier.
Va detto che non è stata oggi la prima volta che Renzi si è mosso "fuori tempo" rispetto alle vicende. Il caso Ablyazov è solo l'ultima circostanza. Per dire, la stessa battaglia sulle regole congressuali lo sta mostrando come un protagonista indeciso e a tratti timoroso. Pretendere, come Renzi ha preteso, di conoscere le regole e la composizione della platea degli aventi diritto al voto (iscritti, simpatizzanti o quali altri), è stata una manifestazione di debolezza.
Le conseguenze interne al Pd dopo la decisione di votare contro la mozione di sfiducia ad Alfano sono ancora tutte da misurare. La determinazione mostrata da LEtta nel difendere il suo ministro e il mantello istituzionale-politico steso da Napolitano sull'esecutivo hanno sparigliato non poco le carte congressuali del Pd. Letta appare stasera meno isolato dal suo partito e il segretario Epifani appare un po' meno di transizione. Il sostegno convinto al governo ha spiazzato non poco vecchi generali come D'Alema e Veltroni, convinti che andasse comunque trovato un modo per marcare le distanze del Pd dal governo sulla vicenda Ablyazov.
Non è stato così. E' stata ancora una volta, come a marzo per la rinuncia di Bersani a formare il governo, la parola del Quirinale a farsi sentire e a pesare nella dialettica interna del Pd. Verrebbe da dire che se il Pd ha il suo vice segretario a Palazzo Chigi, ha mandato al Colle ... il suo segretario. Per chi ha memoria storica e prova a riandare agli anni '70, non troverà azzardato il paragone di Napolitano con François Mitterrand. Il primo interpreta, senza averli direttamente assegnati, ma neppure negati, dalla Costituzione, i poteri tipici del presidenzialismo. L'altro, Mitterrand, fiero avversario della Repubblica presidenziale disegnata da De Gaulle, una volta incoronato segretario del Psf, erede della vecchia Sfio, si mosse, dal 1971, con l'ambizione di chi quei poteri voleva conquistarli. E li conquistò, nel 1981. Dopo una lunga traversata nel deserto. Il guaio per il Pd è che non sa esattamente in che punto sia della traversata e quanto esteso è il deserto che deve attraversare. Napolitano, con il suo comportamento, cerca di dargli almeno una bussola.
Dopo la decisione del Pd e il rimescolamento di carte che si preannuncia al suo interno, qualcosa è destinato a cambiare anche nel PdL. Messa temporaneamente da parte la scadenza del 30 luglio, e sposati con più costanza che in passato i toni della moderazione, sarà difficile per Berlusconi riaccendere i fuochi. Ma attorno alla data del 30 luglio si è sparsa all'improvviso una strana calma.  
       

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