mercoledì 17 luglio 2013

RENZI IN PRESSING SUL PD, O IL GOVERNO O IL PARTITO


di Massimo Colaiacomo

E' evidente anche ai più ingenui che la vicenda Shalabayeva è finita nelle mani di Matteo Renzi come il fucile caricato nelle mani di un cacciatore di fronte a un orso. Matteo Renzi punta alla crisi di governo, o a un vistoso azzoppamento di Enrico Letta disarcionando Angelino Alfano e, in questo modo, portare all'autunno un esecutivo indebolito e in balia degli eventi. E' qualcosa di più che una congettura, poiché un simile scenario trova ampi riscontri nelle manovre parlamentari in corso in queste ore. I parlamentari renziani hanno espressamente chiesto ai senatori del Pd di votare la mozione di sfiducia al ministro Alfano la qual cosa, è di tutta evidenza, significherebbe la sfiducia all'operato del governo. Da Londra, dove si trova in visita, il premier Enrico Letta ha fatto sapere che venerdì sarà "presente" in Senato durante le votazioni della sfiducia ad Alfano. E' da temere che la sua presenza sarà insufficiente. Letta deve prendere la parola, come Renzi gli ha chiesto, per dire se è o non è d'accordo con il ministro dell'Interno. Insomma, o dà una copertura politica piena ad Alfano, o ne prende le distanze e lo scarica e si prepara alle conseguenze del caso. 
Si è arrivati fino a questo punto per due ragioni: la gravità in sé della vicenda Shalabayeva, con la credibilità dell'Italia uleriormente indebolita fin quasi all'irrisione; la seconda ragione è che in tanti, troppi, aspettavano un'occasione simile per sparare contro il governo a palle incatenate. Una terza ragione non meno evidente è il dilettantismo con cui si sono mossi i protagonisti del caso. Se solo si pensa al ritardo con cui il ministro degli Esteri è entrato nella vicenda, convocando l'incaricato d'affari della Repubblica khazaka per le spiegazioni di rito, sarà allora chiaro quante e quanto gravi smagliature ci sono state a livello di esecutivo.
A rendere ancora più chiara la posta in gioco della partita politica in corso ci ha pensato la Lega. I due capigruppo al Senato e alla Camera, seguiti a ruota da un mai spento Umberto Bossi, hanno assicurato che mai voteranno la sfiducia ad Alfano ma deve essere Letta a prendere posizione con chiarezza in Aula. Dietro la difesa di Alfano, possibile e quasi sicuro alleato alle prossime (imminenti?) elezioni politiche, si è fatta strada un duro attacco a Letta.
Il presidente del Consiglio avverte l'assedio minaccioso che gli arriva dal suo partito. Epifani e i vertici del Pd durano non poca fatica per tenere uniti gruppi parlamentari che si muovono come una nave senza rotta. La lotta congressuale e le ambizioni personali di vecchi e nuovi generali hanno fatto del Pd un deserto di strategia politica. Al Senato e alla Camera ci sono drappelli di parlamentari che vivono alla giornata, con la maggior parte di essi in fila per accasarsi con il futuro padrone del partito.
E' sulle spalle di Letta però che cade il peso maggiore di questa fase confusa. E' lui che deve assumersi in prima persona la difesa del ministro Alfano perché essa coincide, se non nei fatti certo nel significato politico, con la difesa del governo. Un'esitazione di troppo e il castello di carte va in aria. Non è una decisione semplice, come si può intuire: difendere Alfano significa, in questo caso, mettersi contro Renzi e i suoi parlamentari. In mezzo c'è il Pd, sempre più simile "a un focoso destriero pronto a partir in tutte le direzioni" come dice il poeta di Astolfo, l'amico di Orlando partito, a dorso dell'Ippogrifo, in direzione della Luna per recuperare il senno per amore perduto dall'amico.
Letta ha ben compreso il pasaggio difficile che si sta preparando per il suo esecutivo. La circostanza assume i contorni del dramma perché a fronte del grave incidente khazako sull'altra piatto della bilancia il governo non può certo esibire risultati strabilianti nella realizzazione del programma. Il carniere a voler essere generosi è semivuoto. La riforma del lavoro, i tagli alla spesa pubblica, l'abbattimento del cuneo e in genere tutte le questioni legate al fisco sono altrettanti temi irrisolti e accantonati. Letta deve mettere le ali ai piedi ed esibire qualche risultato importante se vuole legittimare l'esistenza di un esecutivo altrimenti destinato a essere archiviato per il "pasticcio khazako".
Si può osservare che l'assalto di Renzi al governo, sia pure nella forma subdola della sfiducia ad Alfano, ha un che di disperato nella strategia del sindaco. Il quale è alla ricerca ogni giorno più affannosa di una via d'uscita strategica alle sue ambizioni: incerto se esse potranno essere meglio realizzate candidandosi alla segreteria oppure bypassare questa scadenza per puntare straight as an arrow alla premiership. A ben vedere il pressing di Renzi non è solo sul governo ma è anche e, forse, soprattutto sul Pd. La sua strategia di aggressione ad Alfano punta a indebolire il gruppo dirigente del partito diviso tra la fedeltà, sempre più lasca, a Letta e il bisogno di marcare le distanze rispetto al PdL e a un ministro vittima di una sprovvedutezza inescusabile.
Renzi deve premere sull'acceleratore perché la marcia da lui intrapresa non gli consente deviazioni o rallentamenti. Ha visto la melina messa in atto dalla Commissione per il Regolamento congressuale e teme di finire a rosolare in dispute regolamentari nelle quali ci sono fior di maestri nel Pd. Deve agire e scompigliare, però facendo attenzione. E' stato a Berlino, ha incontrato la cancelliera Angela Merkel e con lei ha parlato di competitività e occupazione. Tornato a Roma, e intruppati i suoi con Sel e M5S nell'assalto al governo, Renzi deve anche chiedersi: con Vendola e Grillo quante chances potrò avere di realizzare gli obiettivi concordati con Angela Merkel? 
 

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