martedì 16 luglio 2013

È L'INCERTEZZA STRATEGICA DI LETTA IL MIGLIOR ALLEATO DI RENZI


di Massimo Colaiacomo

Si muovono come giovani pattinatori sulla superficie di un lago ghiacciato in una spensierata giornata invernale. Qualcuno di essi ignora, per imprudenza o per inesperienza, che un volteggio di troppo su un punto dove il ghiaccio è più sottile potrebbe risolversi in un'ecatombe per tutti. E' una delle immagini che trasmette la scena politica in queste giornate. Il trambusto provocato da singole vicende - dal caso Shalabayeva agli insulti non si sa più scemi o più razzisti (ma c'è una differenza?) di Calderoli al ministro Kyenge - gli attori politici si muovono ciascuno pensando a tappare una possibile falla nella propria posizione, di governo o nelle istituzioni. Si deve votare la mozione contro Calderoli? Ecco che la Lega tuona contro il governo che fa rapire una bimba khazaka con il che lasciando capire al PdL che potrebbe votare a favore della mozione di sfiducia individuale contro il ministro Alfano. E il PdL che cosa fa? Annuncia la propria ritorsione, e firma, con Schifani e altri parlamentari, una mozione di censura contro il vice presidente leghista del Senato.
Siamo in presenza di scelte di piccolo cabotaggio, figlie di un esasperato tatticismo da cui il premier Letta cerca di tenere il più possibile lontano l'esecutivo. La stessa richiesta di Guglielmo Epifani "se Alfano sapeva, deve dimettersi" è un cinico espediente tattico, fondato sul presupposto che non sapendo come si è svolta la storia khazaka, può restare al suo posto. Epifani cerca così di prendere due piccioni con una fava: non lasciare a Sel e M5S il monopolio della contestazione e, nello stesso tempo, coprire il governo.
Come si vede, la lastra di ghiaccio si fa sempre più sottile e l'incidente di percorso è sempre dietro l'angolo. Da notare un paradosso: le divisioni nel Pd sull'atteggiamento verso il governo si sono a tal punto approfondite che dal chiacchiericcio quotidiano è persino sparito il dilemma su che cosa accadrà il 30 luglio, giorno della sentenza della Cassazione sulla vicenda Mediaset. Questo fatto la dice lunga sul livello di confusione raggiunto nel dibattito politico.
Matteo Renzi è uno degli artefici del quadro confuso che si stringe attorno al governo. Il sindaco di Firenze si aspetta naturalmente di essere anche il principale beneficiario ma non è detto che le cose debbano e possano aggrovigliarsi come a lui conviene. Intanto sulla vicenda khazaka Renzi ha dovuto sposare, per portare l'enneismo attacco a Letta, la linea dell'intransigenza scelta da Grillo e Vendola che puntano alle dimissioni di Alfano in quanto responsabile politico del ministero direttamente coinvolto. Renzi sempre più verrà a trovarsi in compagnia delle sinistre radicali, una strategia che appena qualche mese fa rimproverò a Bersani come profondamente sbagliata.
Il sindaco di Firenze sta compiendo qualche contorsione di troppo e, al netto del battesimo sulla scena europea che è andato a cercare a Berlino (che l'abbia trovato è tutto da vedere: i colloqui di cortesia, e di conoscenza, sono una delle carte della buona diplomazia), deve prepararsi a un percorso accidentato per ottenere un'investitura come leader nazionale. Giocare la carta della crisi di governo lo esporrebbe all'accusa di irresponsabilità e creerebbe non pochi imbarazzi al Quirinale. Renzi deve usare la leva della sinistra radicale per scardinare gli attuali equilibri, ma quando si rivolge agli italiani lo fa con parole e programmi di rinnovamento "radicale" nei contenuti, ma distanti anni luce dalla visione di Vendola e da Grillo.
Qui sta il punto di forza dell'attuale esecutivo: la scarsa omogeneità di obiettivi rende poco credibile gli assalitori. Renzi rischia così di vedere appannata la propria immagine di leader insieme innovativo e affidabile, ascoltato dai settori moderati del Paese e non sgradito a un pezzo della sinistra tradizionale.
Renzi fatica però a tenere insieme la platea dei consensi costruita in questi anni con la tempistica che si è data per incoronarsi candidato premier. Deve navigare fra due scogli evitando di urtare anche contro uno solo di essi: mostrare il senso di responsabilità per le difficoltà del Paese, e quindi verso il governo Letta; nello stesso tempo, deve mettere in campo programmi credibili e tali da renderlo competitivo verso le inadeguatezze fin qui mostrate dall'attuale esecutivo (e non sono poche). 
Enrico Letta ha fin qui reagito, almeno ufficialmente, facendo spallucce alle punzecchiature del sindaco. Anche se è facile immaginare la sua irritazione per le critiche che quotidianamente gli arrivano, quando non da Renzi da qualcuno dei suoi parlamentari. Non basta, però, per legittimare il governo. Letta ha una sola arma a disposizione per indurre Renzi a più miti consigli: deve produrre azioni e decisioni di governo che siano forti e credibili. Non deve, come ha promesso il ministro Giovannini, ridurre la flessibilità dei contratti di lavoro per Expo 2015. Non deve, come gli chiede di fare il Pd e la Cgil, usare il bisturi per cercare gli sprechi nella spesa pubblica che merita, al contrario, una terapia d'urto da tempi di guerra. La scelta del traccheggiamento da parte del governo è un nemico peggiore di Renzi e quindi un alleato prezioso per le ambizioni del sindaco.

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