venerdì 1 marzo 2013

LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE SEPPELLITA DA UNA RAFFICA DI CLICK

di Massimo Colaiacomo

     Il gioco incrociato di veti scattato nel Pd è il segnale dello smarrimento in cui è finito il partito all'indomani di una sconfitta politica malamente mascherata da una mezza vittoria elettorale. Che le cose siano così e non nel modo in cui le raffigurano osservatori più o meno benevoli è provato da una serie di circostanze. L'intervista di D'Alema al "Corriere della Sera" di giovedì 28 febbraio con la sua terapia "anni Settanta" in puro stile consociativo nelle istituzioni e in stile "chi vivrà vedrà" sul piano del governo è il primo step per Bersani. E il ritorno stasera di Matteo Renzi che se la prende, nella sua Enews, con gli sciacalli (leggi D'Alema) che vorrebbero prendere il posto dei tacchini sul tetto o dei giaguari, sono il presagio delle convulsioni che attendono la direzione di quel partito convocata per il 6 marzo.
     Il Pd non è in grado non solo di assumere la guida del governo ma neppure di elaborare una strategia politica capace di aprire un percorso parlamentare per la nascita del governo. Le divisioni emerse sono laceranti più di quanto non sia fin qui apparso. La stessa idea bersaniana di mettere mano alla riforma elettorale per tornare alle urne in tempi brevi sembra fatta per far imbufalire parlamentari appena eletti e per niente disposti a salire sul patibolo elettorale senza aver neppure goduto di qualche mese di indennità parlamentare. Bersani, insomma, ha fatto hara kiri con una rapidità sorprendente. Un suicidio politico da parte di un leader inadeguato ad affrontare un impegno superiore alle sue capacità politiche.
     Su tutto grava un pericoloso equivoco che si va costruendo in queste ore è che ruota attorno al possibile ruolo di Grillo per la nascita dell'esecutivo. Chi immagina (e, purtroppo, non sono pochi) il possibile coinvolgimento grillino in una maggioranza di governo non ha compreso la natura di quel movimento e, peggio ancora, si ostina a leggere le parole di Grillo con gli occhiali dall'analisi politica tradizionale. Grillo non intende favorire la nascita di un governo, men che meno intende votar gli la fiducia. Egli punta invece a prendere in ostaggio il prossimo esecutivo, se ciò gli sarà consentito da una maggioranza stentata o ad assetto variabile. Un progetto che sarebbe per lui facilmente realizzabile se Bersani dovesse dar seguito al proposito di presentarsi in Parlamento con alcuni punti programmatici e senza una maggioranza precostituita. Su questa strada, però, Bersani ha già incontrato il netto rifiuto del Capo dello Stato.
     Quanti perorano questa via d'uscita sono evidentemente degli analfabeti politici di ritorno. Nessuno di loro si chiede perché mai Grillo dovrebbe venire meno al punto principale del so programma: arrendetevi, siete circondati, uscite mani in alto e non vi sarà torto un capello. Perché Grillò non dovrebbe essere preso in parola? Cosa farebbe pensare al Segretario di Stato John Kerry che invece con i parlamentari grillini sarà possibile parlare e indurli a comportamenti più istituzionalmente adeguati?
     Quando si tratterà di votare un provvedimento qualificante per il governo come si potrà tollerare che la linea di un gruppo parlamentare venga decisa attraverso una consultazione via web con la partecipazione non si sa di quanti e soprattutto non si sa di chi? E il Parlamento, per la difesa delle cui prerogative contro la tirannia di Carlo I Oliver Cromwell mise l'Inghilterra a ferro e fuoco a metà del Seicento, potrà rassegnarsi al ruolo di esecutore di una volontà nata non si sa dove e ad opera di chi? Giorgio Napolitano è un custode geloso della Costituzione e della sovranità parlamentare. Mai potrebbe accettare soluzioni politiche pasticciate e mai, soprattutto, potrebbe accettare pastrocchi in grado di svuotare il Parlamento del suo ruolo.
     Questo aspetto della crisi di sistema che vive l'Italia non è secondario. Il dramma del Paese è racchiuso in questo dilemma: partiti deboli e screditati dovrebbero rifondare un sistema politico con partiti politici forti e rappresentativi. Altro che smacchiare il giaguaro o asciugare gli scogli: la crisi di sistema dell'Italia esige una riforma di sistema, cioè qualcosa di profondamente diverso dai pannicelli caldi come l'aggiustamento della legge elettorale. Un accordicchio di governo su pochi, limitati e non si sa quanto qualificati punti, è utile a Grillo ma non all'Italia. Una riforma presidenzialista o una legge elettorale maggioritaria sono invece utili all'Italia e farebbero evaporare il grillismo come neve al sole. Ma niente di tutto questo sarà possibile senza un'intensa che veda protagonista anche il PdL e Silvio Berlusconi. E, come nel gioco dell'oca, ecco che si ritorna alla casella di partenza.

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