sabato 23 marzo 2013

BERSANI RIESCE SE BERLUSCONI NON ESCE


di Massimo Colaiacomo

    Il "verificatore" Pierluigi Bersani è partito per la verifica. Così gli ha chiesto di fare il presidente della Repubblica nell'affidargli un incarico con paletti talmente stretti da non poter quasi vedere neppure il percorso. Napolitano è stato di una chiarezza esemplare, come è nel suo carattere e come gli impone la fragilità della situazione: quando tornerà al Quirinale, entrò un termine ragionevole, Bersani dovrà dire senza troppi giri di parole: a) se ha trovato una maggioranza certa che gli voti la fiducia al Senato; b) se ha la ragionevole certezza di un sostegno istituzionale del PdL e della Lega per fare le riforme istituzionali e prima ancora la legge elettorale.
     Non è un percorso semplice. Bersani deve mettere in conto ostacoli e trappole a ogni tornante. La prima insidia viene da Belusconi, contrario a separare il tavolo dl governo (e della maggioranza che dovrà sostenerlo) dal tavolo delle riforme. Come si sa, Bersani e il Pd possono apportare alcune varianti alla loro strategia, tranne una: immaginare un governo Pd-PdL. Su questo punto c'è una saracinesca, inchiodata e inespugnabile. Sulla carta, perciò, Bersani non avrebbe i numeri per formare il governo. I grillini sono  fuori della partita: loro, come non si stanca di ripetere Beppe Grillo poco creduto o inascoltato dagli zelanti di Bersani, voteranno contro ogni fiducia chiesta da qualsiasi governo, Bersani o domineddio. Sul piano dei numeri, dunque, Bersani potrebbe tornare al Quirinale oggi stesso e gettare la spugna.
     Le cose appaiono messe un po' diversamente non appena si cambi prospettiva e terreno di gioco. Si sta parlando del Quirinale. Berlusconi vuole giocare quella che considera l'unica vera partita di una legislatura in cui alba e tramonto si confondono. Il Cav, si sa, teme che sul Colle possa arrivare qualche personaggio (Prodi?) non solo sgradito, ma animato da rancori vecchi mi suoi confronti e quindi nella disposizione d'animo di chi è pronto a usare l'arma atomica contro di lui: dall'ineleggibilità all'accelerazione dei processi.
     L'elezione del nuovo Capo dello Stato (a meno di clamorosi ripensamenti di Napolitano) è dunque il fattore che potrebbe cambiare le carte in tavola e rimescolare le strategie fin qui seguite. Se Bersani saprà essere convincente e aprire una trattativa su una figura gradita al Cav, ecco che le cose impossibili sul piano del governo potrebbero diventare possibili. Se, per fare un esempio, Giorgio Napolitano accettasse un secondo mandato (improbabile che possa essere a termine) o il Pd prendesse in considerazione la candidatura di Giuliano Amato o di Gianni Letta, ecco che Bersani potrebbe ribaltare su Berlusconi le sue insuperabili difficoltà. È vero, il Cav ripete come un mantra "senza di noi non c'è maggioranza" ma lo stesso Cav sa bene che se vuole agguantare un risultato utile per il Colle più alto non può tirare la corda oltre il lecito. Insomma, il governo Bersani potrebbe prendere il largo, magari con il voto contrario (ininfluente) del PdL e la Lega che esce dall'Aula, sottraendo così voti contro la maggioranza ma senza rompere il patto di alleanza con il PdL.
     Si tratterebbe, insostanza, di dar vita a un governo "a geometria variabile", con una navigazione, certo, assai poco tranquilla per Bersani. È difficile intravvedere soluzioni diverse o meno precarie di queste. Un punto debolequesta soluzione lo presenta: un governo siffatto, sarebbe nei fatti ostaggio del centrodestra. Perché il giorno che la Lega, d'intesa con il PdL, decidesse di non uscire dall'Aula, per Bersani sarebbe la fine.

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