martedì 5 marzo 2013

GOVERNO DI SCOPO O GOVERNO "MONTI TIRADRITTO"?

NAPOLITANO EVITERA' DI LASCIARE
UN PASTICCIO COSTITUZIONALE AL SUCCESSORE

di Massimo Colaiacomo

     La matassa del voto politico si aggroviglia dopo ogni dichiarazione dei leader delle tre minoranze. Due di essi, Bersani e Berlusconi, devono agitarsi per non perdere la battuta. Il terzo, Beppe Grillo, non deve muoversi da dove sta. Gli basta dire che non appoggerà mai nessun governo (nel senso di votare la fiducia) ma valuterà di volta in volta i singoli provvedimenti per decidere quali approvare e quali no. Una posizione micidiale per chiunque sieda a Palazzo Chigi. Grillo si incarica di essere un "giudice popolare" all'interno del Parlamento, un canale di collegamento fra la piazza - quella del web e quella fisica - e i palazzi della politica. Si è auto-investito di questa missione, non prevista dalla Costituzione, anzi in aperto contrasto con l'articolo 67 che, non a caso, è finito nel mirino di Grillo appena due giorni fa. Reazioni dai partiti? Dal Capo dello Stato? Dai presidenti del Senato e della Camera? Nessuna. Grillo vuole ridurre i parlamentari, già nominati e non eletti, nella camicia di forza dei gruppi e costringerli all'obbedienza delle decisioni prese dal leader, che neppure siede in Parlamento, diversamente prenderli a calci.
     La gravità della crisi politica è nel vuoto pneumatico in cui si macinano parole, senza costrutto e senza neppure mai sfiorare l'oggetto vero di una contesa che a spiegarla all'estero appare come l'ennesimo capitolo di una vicenda surreale accaduta in un Paese di fantasia. Grillo è un fascista, con o senza l'ausilio del web: sarà un picchiatore telematico, ma pur sempre picchiatore è. E ha ragione a esserlo vista l'inconcludenza e la miseria dei suoi avversari politici. Pavidi e irresoluti. Chiusi nella difesa estrema, e dunque già perdente, delle ultime ridotte. Bersani è stato sconfitto arrivando primo, Berlusconi nel solito furto con destrezza si intesta una vittoria mai davvero conseguita.
     Un risultato rocambolesco ma non imprevisto che ha riconsegnato nelle mani del Capo dello Stato uno scenario fatto di macerie e senza neppure una trave portante da cui ripartire. Costituzione alla mano, che cosa può fare Napolitano? Può, deve anzi, affidare un incarico al leader del partito che ha preso più voti. In caso di insuccesso, deve o no convocare il leader del secondo partito, cioè Beppe Grillo? Si tratterà di incarichi esplorativi, visto che il quadro parlamentare non offre in nessun caso la possibilità di dar vita a maggioranze organiche e precostituite. Una volta constatata l'impossibilità di dar vita a una maggioranza simile, come si arriverà al governo "di scopo", ancora stamane evocato da Franco Frattini? Il passaggio elettorale doveva, negli auspici del Quirinale ma non solo, riconsegnare al Paese un quadro politico chiaro, con una maggioranza coesa in grado di esprimere un governo stabile. Niente di tutto questo è accaduto.
     Il governo di scopo, già nella sua intestazione, è quanto di più lontano ci sia dalla stabilità. Le parole indorano la realtà, ma si tratterebbe in ogni caso di un governicchio da varare con un timer incorporato che lo farebbe saltare appena approvati i due o tre provvedimenti imposti da Grillo il quale neppure gli vota la fiducia. Si è mai visto un ceto politico con una più spiccata vocazione al suicidio?
     Il potere di sciogliere il Parlamento non è più nelle mani del Capo dello Stato perché il semestre bianco lo impedisce. Dalle decisioni che Napolitano vorrà ma, soprattutto, potrà prendere dipenderà la capacità del suo successore di imprimere una svolta a un quadro politico tanto fragile. Il governo "di scopo" è una soluzione fragile, destinata a finire sugli scogli del voto anticipato in autunno. Ma la prorogatio del governo Monti, ipotesi che si dice venga coltivata al Quirinale in queste ore, sarebbe il semplice trasferimento nelle mani del successore del potere di scioglimento di cui non può usare in questo momento Napolitano. Sempre che la scelta del prossimo Presidente della Repubblica non sia un passaggio tale da imprimere una svolta ai rapporti politici. Allora potrebbe diventare possibile quello che oggi non è. Ad impossibilia nemo tenetur ....

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