martedì 23 febbraio 2016

LA REALTÀ ASSEDIA RENZI E RENZI ASSEDIA BERLINO


di Massimo Colaiacomo

     Se le cose non vanno troppo bene a Roma è perché vanno troppo bene a Berlino. E se le cose vanno troppo bene a Berlino è perché i Trattati sono stati piegati dalla volontà di egemonia tedesca in Europa. Molto semplificato, è lo schema al cui interno si iscrive la strategia euro-italiana di Matteo Renzi e la conseguente decisione di mettere sotto assedio il cuore della politica europea. Non c'è un solo atto del premier (ultimo il "Position paper" intestato formalmente al ministro dell'Economia) da cui non sprigioni una critica all'indirizzo del governo tedesco. Si tratti della politica di bilancio o degli immigrati, delle banche o dei mancati investimenti, Renzi ha messo in campo una strategia a tenaglia, alimentata, da un lato, di contestazioni, anche risentite, alla politica di austerità e, dall'altro lato, di proposte non esattamente originali per portare l'Unione fuori dall'impasse in materia di crescita, occupazione e investimenti.
     Non è del tutto chiaro, a giudicare dalle valutazioni fatte ancora ieri nella conferenza con la stampa estera, fino a che punto Matteo Renzi sia convinto di aprire una breccia nel muro dell'austerità tedesca. Si fa strada, al contrario, la sensazione che Renzi voglia costruire un linkage sempre più stretto fra politica domestica e politica europea. Stabilendo, come per il principio dei vasi comunicanti, una correlazione fra la sua volontà di cambiare l'Italia e l'ostilità dell'Europa a fornirgli gli strumenti per farlo. L'Europa diventa così un alibi formidabile per giustificare la debolezza della ripresa economica e le prospettive tuttora incerte.
     L'immagine di un "antieuropeista europeista" che Renzi si va ritagliando è soltanto una convenzione giornalistica, ma non basta a nascondere l'azzardo della sua strategia. "La Stampa" ha anticipato stamane le valutazioni della Commissione europea sull'Italia. Si tratta ancora di valutazioni tecniche, visto che si deve attendere la primavera inoltrata per avere un assessment politico. La valutazione preliminare della Commissione è prudente, tutta in chiaroscuro perché riconosce i progressi fatti dal lato delle riforme ma denuncia anche la lentezza nel mettere sotto controllo il debito pubblico e nell'implementare una spending review all'altezza.
     È lecito chiedersi sulla base di quali valutazioni Renzi spera di ottenere da Bruxelles e da Berlino quello che è stato negato ai suoi predecessori. A suo favore giocano indubbiamente alcuni fattori. Per dire, Renzi ha introdotto un dinamismo nelle decisioni e nel percorso delle riforme che nessuno prima di lui aveva mostrato di possedere. Ma, soprattutto, Renzi può paradossalmente beneficiare delle peggiorate condizioni politiche del contesto europeo. La confusione sotto il cielo di Bruxelles è enorme e la situazione potrebbe essere eccellente, per parafrasare Mao Zedong, per una rivoluzione nelle liturgie europee. Gli attori principali, e Merkel in testa a tutti, non godono più una grande salute politica e sono alle prese con il problema dell'immigrazione biblica che sta scuotendo le fondamenta dell'edificio europeo e provoca rigurgiti nazionalisti che si credevano sopiti per sempre.
     Renzi ha colto il momento di debolezza dei suoi alleati-avversari e cerca di tramutarlo in un punto di forza per le rivendicazioni dell'Italia. Le proposte di riforma che Padoan illustrerà ai suoi colleghi non sono particolarmente originali e alcune di esse, come gli eurobond per finanziare investimenti in infrastrutture, o la mutualizzazione progressiva dei debiti, sono già state respinte in passato dalla Germania e dai Paesi del Nord. Perché dovrebbero ora essere accolte? Sulla base di quali progressi della finanza pubblica italiana Renzi può sostenere le sue richieste? La Commissione non interviene nella stesura dei bilanci nazionali, ne valuta però attentamente le conseguenze sul piano della stabilità fiscale e della tenuta dei conti. Cioè di quello che era, e rimane, il vero tallone d'Achille dell'Italia in Europa. Nessuno può impedire a Renzi di dare 500 euro ai giovani che compiono 18 anni o di stabilizzare il bonus di 80 euro mensili per i redditi da lavoro dipendente, ma se queste misure non hanno prodotto una ripresa significativa dei consumi, non hanno aiutato a creare nuova occupazione e hanno invece appesantito il debito e prodotto uno scostamento significativo del deficit vuol dire che il governo italiano si è mosso in una direzione sbagliata. Su questo punto Renzi non ha argomenti. Una sua affermazione, ripetuta con una certa frequenza, ne rivela fino in fondo il retropensiero: dove sono state applicate le ricette della trojka, hanno vinto i populisti. In Europa, però, rovesciano questo argomento: dove invece non sono state applicate, disoccupazione e debito crescono a braccetto. Questo è il punto: Renzi non taglia la spesa e non è incisivo nelle riforme perché non vuole perdere le elezioni. È una vecchia storia italiana e Renzi rischia di esserne soltanto l'interprete più recente e smaliziato.
   
     

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