giovedì 24 aprile 2014

RENZI DI CORSA FINO AL VOTO, MA SI LASCIA DIETRO MOLTI NODI

di Massimo Colaiacomo

Che sia un'intervista o un tweet, una conferenza stampa o una dichiarazione in video, il presidente Renzi va "dritto come un treno" e il governo procede come "un rullo compressore". Ogni tanto un rifornimento di fiducia in Parlamento e via. Raggiunto un traguardo, non importa come, non si ferma a consolidarlo o a spiegarne agli italiani la dimensione e l'importanza, ma indica subito quello successivo. Ha dimenticato gli sconti fiscali  per gli incapienti e le partite Iva? No problem, twitta Renzi. Ci sarà gloria anche per loro.
Cambia la scena, ma non lo spartito se si parla di riforme. Renzi fa spallucce ai senatori riottosi e ripete sicuro che il Senato non elettivo fa parte dell'accordo con Berlusconi e chi non è d'accordo dovrà adeguarsi. Non si cura se la proposta di Vannino Chiti ha il sostegno dei sentori grillini e il capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani, si smarca dall'accordo per aprire al Senato elettivo. Renzi avrebbe potuto rispondere a loro come alla Camusso: ce ne faremo una ragione.
Questa strana miscela fatta di spavalderia e di hybris, di pragmatismo e di temerarietà è la cifra inconfondibile che ha fatto di Renzi, almeno finora, un avversario inafferrabile per Berlusconi e difficile da trattare anche per Grillo. Un po' come i grandi campioni della boxe, Renzi ha conquistato il centro del ring, anticipa l'avversario, è molto mobile sulle gambe e sa portare una varietà di colpi che frastorna chi gli sta di fronte.
A dispetto di questa immagine che Renzi proietta di sé, le cose sono però meno brillanti dell'incarto mediatico confezionato a palazzo Chigi. Ultimo ma non ultimo il decreto sull'Irpef, un'antologia di contraddizioni sul terreno della politica di bilancio. Lasciamo da parte il lato della spesa che interessa gli elettori di Renzi e coloro che lo diventeranno in quanto beneficiari dei provvedimenti. Dal lato delle entrate, che interessa elettori e avversari di Renzi, le cose sono alquanto confuse. Gli ormai famosi 80 euro al mese, contabilizzati per la verità in 640 euro annui e dunque in 51,7 euro mensili, dovevano essere finanziati per 4,5 miliardi di euro da tagli di spesa. Bene, dopo una spulciata dei colleghi de il Sole 24Ore si scopre che da quel versante saranno circa 3 miliardi le risorse disponibili. Il decreto poi non cifra minimamente i benefici di spesa derivanti dal taglio delle auto blu né dal tetto di 240 mila euro per i dirigenti pubblici, punto vagamente sfiorato nel provvedimento ma senza l'indicazione precisa.
Per non tacere di quei 755 milioni che invece finiranno nelle casse dell'erario grazie all'incremento dell'aliquota fiscale dal 20 al 26% sui conti correnti e di deposito. Una misura rimasta nascosta nel decreto. Sorprende ma non più di tanto la motivazione data dal ministro Padoan sull'incremento delle aliquote fiscali su azioni e obbligazioni (e, poi, anche sui conti correnti e conti di deposito): in questo modo si colpiscono le rendite finanziarie e si spostano risorse dalla rendita al lavoro e a favore dell'impresa per la quale è stata tagliata l'aaliquota Irap del 10% (circa 700 milioni di risparmio). 
Una simile affermazione si potrebbe accettare, tappandosi le orecchie, se fosse venuta da Renzi che deve prendere voti e quindi ha diritto a margini di banalità superiori alla media. A Padoan non si possono perdonare falsità e demagogia: considerare "rendite finanziarie" i risparmi investiti in azioni e obbligazioni da parte di risparmiatori, piccoli e grandi, che finanziano così l'attività delle imprese è sintomo di una pericolosa deriva demagogica. Padoan, ma anche i sassi, sanno che il vero rentier non è così sciocco da rischiare le proprie risorse in Borsa ma preferisce, proprio in quanto rentier, acquistare tranquilli Btp a 20 o 30 anni con lussuose cedole da 3,75-4% da staccare semestralmente per godersi la vita. Bene, questa seconda categoria di risparmiatori sarà incoraggiata nel suo dolce far niente da aliquote del 12,5%!!!! Uno scandalo visto solo in Italia. Né regge la spiegazione che l'aliquota al 26% allinea l'Italia agli altri Paesi europei.
È palesemente falso. Per la ragione che, tranne la Francia, l'Italia è il solo Paese che ha adottato la Tobin Tax, pari a un prelievo dello 0,22% su ogni transazione finanziaria. E questo si aggiunge al 26% e alle spese di bollo. Germania, Gran Bretagna e Spagna adottano aliquote elevate su tutti i diversi asset di risparmio: azioni, obbligazioni, titoli di Stato. In questo modo riconoscendo l'equivalenza del risparmio in tutte le sue forme.
Renzi ha alzato pericolosamente il livello della sua sfida. Il Quirinale ha formato il decreto Irpef, rassicurato in questo dopo il colloquio di Napolitano con il ministro Padoan. La rassicurazione maggiore non è certo nei contenuti del decreto al cui interno ci sono non pochi nodi da sciogliere. Essa viene data dalla cosiddetta clausola di salvaguardia, norma tampone imposta dalla Commissione europea: se le misure previste dovessero rivelarsi inadeguate per i saldi di bilancio, scattano in automatico aumenti delle accise su alcol, tabacchi ed energia. Clausola micidiale, sperimentata nell'ottobre scorso con l'aumento dell'Iva dal 21 al 22%. C'è da giurare, e per questo l'autore di questa nota accetta scommesse, che la clausola farà il suo dovere in autunno, a ridosso della Legge di stabilità.
Non possiamo chiudere questa nota senza ricordare che la Banca centrale di Madrid ha comunicato oggi la sua previsione sul Pil spagnolo stimato in crescita dello 0,4% nel primo trimestre del 2014. Meglio della Spagna dovrebbe fare la Grecia: le stime sono attese per le prossime settimane. L'Italia, al momento, è in coda a entrambi. Amen      

   

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