sabato 19 aprile 2014

PICCOLI TAGLI PERMANENTI, PICCOLI RIMBORSI UNA TANTUM

LA NAVE ITALIA INCLINATA SOTTO LA LINEA DI GALLEGGIAMENTO

di Massimo Colaiacomo

La conferenza stampa tenuta al termine del Consiglio dei ministri dovrebbe aver messo spalle al muro il più ostinato degli scettici sulle capacità affabulatorie del presidente Renzi. I provvedimenti presi, nel contenuto e nelle modalità, e la loro successiva comunicazione sono un vero autoritratto di Matteo Renzi. 80 euro ha chiesto e 80 ne ha ottenuti da mettere in busta paga il 27 maggio per tutti i redditi da lavoro dipendente compresi fra gli 8000 e i 25 mila euro. Niente per gli incapienti e niente per le partite Iva, cioè quella fascia di popolazione sulle cui spalle è stata caricato il peso maggiore della crisi di questi anni. Per loro si vedrà nel 2015. Renzi aveva bisogno di confermarsi l'uomo del "qui e subito" e lo ha fatto utilizzando quel mix di pragmatismo e spregiudicatezza che gli attirano simpatie crescenti e diffidenze resistenti. Il capolavoro di equilibrismo del Consiglio dei ministri ha evocato stagioni politiche molto remote.
Non una sola delle misure adottate ha la natura strutturale invocata dalla Commissione europea ogni tre per due. I tagli alle spese comprendono misure di grande impatto mediatico (5 auto blu per ogni ministero e i "sottosegretari vanno a piedi") ma di scarso se non nullo impatto sui conti. La misura più ragguardevole è anche la più precaria, e ci riferiamo all'aumento dell'aliquota dal 12 al 26% delle plusvalenze delle banche a seguito della rivalutazione delle loro quote di partecipazione in Bankitalia. Precaria perché c'è da scommettere che impugnata davanti alla Corte costituzionale le banche si vedranno riconosciuto il diritto a non vedersi cambiata retroattivamente l'aliquota fiscale fissata per decreto al 12%. Alle imprese viene riconosciuto uno sgravio dell'Irapa del 10%, il cui costo (700 milioni) è appena un decimo del costo degli 80 mensili (6,9 miliardi).
Piccoli tagli permanenti e piccoli rimborsi una tantum sono quello che resta della promessa di un grande shock per scuotere l'Italia. Con la grande incognita del rinvio del pareggio di bilancio (pareggio contabile e non strutturale) al 2016, per la quale si conoscerà soltanto a giugno il giudizio della Commissione europea. Ove questo fosse negativo si aprirebbe una voragine nei conti da stimare intorno ai 25 miliardi di euro.
È un quadro di assoluta precarietà finanziaria e di aggravata incertezza fiscale quello emerso dal Consiglio dei ministri di Venerdì Santo. Chi ieri criticava l'inazione del governo non può certo apprezzare l'iperattivismo confuso e azzardato. Renzi si muove però su un sentiero privo di grandi ostacoli. Il suo "populismo morbido" (definizione di Stefano Folli) non incontra ostacoli insormontabili nel populismo hawkish di Beppe Grillo o in quello old-fashioned di Silvio Berlusconi. Si tratta in ogni caso di tre modi diversi per dire che cosa non dovrebbe essere un ceto politico dignitoso.
La battaglia sul filo dei decimali che si combatte per il voto europeo è l'immagine malinconica di una classe politica al capolinea senza altro da dire o da dare all'Italia. L'unica via percorribile è anche la sola che nessuno dei personaggi citati ha il coraggio di affrontare, vale a dire raccontare al Paese che la nave è inclinata su un fianco e ben sotto la linea di galleggiamento. Il rapporto debito-Pil in salita al 134,9% per il 2014 è la controfirma al fallimento tecnico in attesa del verbale di conferma da parte dei commissari europei. Nel 2014 la Grecia crescerà quattro volte più che l'Italia e la Spagna almeno il doppio rispetto allo 0,qualcosa previsto per noi dall'Ocse.

In condizioni simili l'Italia viene a trovarsi scoperta sul versante decisivo della politica. Non un solo leader in grado, come Rajoy in Spagna, di dire ai propri concittadini che la spesa per i dipendenti pubblici di 167 miliardi di euro va tagliata del 10% con licenziamenti o decurtazioni di stipendi e quei risparmi vanno trasferiti alle imprese cancellando per intero l'Irap. Nessuno che sappia spiegare la necessità vitale di tagliare poi di un altro 10% la spesa pubblica per trasferire altri 16 miliardi alle famiglie abbassando la pressione fiscale di almeno 1,5 punti percentuali. Ecco, un leader che sappia frustare l'orgoglio nazionale e suscitare reazioni sociali di consenso a una politica vera di risanamento è la mancanza forse più grave. L'Italia sta in attesa di trovare il suo Mariano Rajoy.

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