venerdì 18 aprile 2014

FINO AL 25 MAGGIO GARA DI POPULISMI, MA L'ITALIA RISCHIA

di Massimo Colaiacomo


Il quadro politico si avvia verso nuove convulsioni a mano a mano che si snoda la campagna elettorale per le europee. La babele di questi giorni è purtroppo soltanto una tappa nella gara fra i populismi che si contendono il consenso elettorale. Da quello morbido di Renzi a quello hard di Grillo fino al populismo old-fashioned di Berlusconi, gli italiani sono chiamati a un bombardamento mediatico senza costrutto e senza orizzonte politico. Il rinvio del pareggio di bilancio al 2016 chiesto alla Commissione europea è uno smacco bruciante per il premier. Il quale, a poche ore dal Consiglio dei ministri, twitta per rassicurare che non ci saranno tagli alla sanità, né per gli insegnanti ma invece benefici fiscali per 15 milioni di italiani.
Se questo non è populismo come chiamarlo diversamente? E il Berlusconi vibrante e quasi rasserenato visto ieri che cosa è se non un populista quando chiede alla Bce di "stampare" più moneta e minaccia la Germania di chiedere i soldi indietro?
Il motivo di maggiore preoccupazione in questo momento è l'assenza completa di un ceto politico in grado di assumersi le proprie reponsabilità.  L'Italia rischia molto perché le riforme abbozzate da Renzi hanno la strada tutta in salita e il decreto sul lavoro, per esempio, è stato già stravolto nella Commissione Lavoro della Camera con modifiche restrittive dal lato delle imprese così che i benefici attesi in termini di assunzioni rischiano di essere vanificati.
Il Centro studi di Confindustria ammoniva, alcune settimane fa, su un'ulteriore perdita dei posti di lavoro stimata in circa 170-200 mila da qui a dicembre. Nessun posto di lavoro, ovviamente, andrà perso nella P.A. perché lo Stato dispone di un'arma negata alle imprese: le tasse. Un'impresa non può aumentare il prezzo della sua merce per pagare gli stipendi, perché deve tenere botta a una concorrenza spietata. Lo Stato non ha concorrenti in fatto di tasse. Incamera tutto ciò che vuole e di cui ha bisogno. Questa è la filosofia che governa tutte le maggioranze che si sono alternate alla guida dell'Italia almeno dal 1960 in avanti.
Si tratta, come può constatare ogni persona di buon senso, di una filosofia non di vita ma di fallimento assicurato della Nazione. L'Italia non ha la fortuna toccata alla Spagna con un leader come Mariano Rajoy che ha saputo tirarsi e tirare su le maniche dei suoi concittadini e con interventi socialmente sanguinosi ha salvato il Paese. Rajoy ha la statura di un vero leader e c'è da giurare che dopo i sacrifici impressionanti patiti dalla popolazione, ora che si appresta a staccare il dividendo politico del risanamento sarà pronto a vincere nuove elezioni nel 2016.
Per l'Italia l'attesa è ora concentrata sul mese di giungo, quando la Commissione europea farà conoscere la sua valutazione sulla richiest dell'Italia di rinviare al 2016 il pareggio di bilancio.  Che cosa accadrà se a giugno la Ue darà un giudizio negativo? Quali manovre finanziarie dovrà fare Renzi? Oppure quali decisioni impopolari fin qui rinviate da tutti, si chiamassero Monti o Letta, dovrà assumere Renzi?

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Il vuoto creato da un ceto politico imbelle e al di sotto della decenza è un macigno inamovibile sulla via delle riforme. Le riforme non si faranno o si faranno nel peggiore dei modi per la ragione che un'alta percentuale di parlamentari non sa neppure dove stia di casa il senso dello Stato o il coraggio di assumere decisioni gravi nell'interesse della Nazione (infatti ignorano questo termine al quale preferiscono un più modesto "Paese").   
Su questo terreno Beppe Grillo gioca con abilità la sua partita. Accusato di antieuropeismo, ha maliziosamente fermato questa deriva quando si è chiesto se davvero convenga all'Italia lasciare l'Euro correndo il rischio di accollarsi una bolletta energetica di oltre 110 mila miliardi di vecchie lire. In questo modo Grillo va a intercettare l'antieuropismo morbido di Berlusconi dal cui partito, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe portre via 3-4 punti percentuali.
Peggio di tutti si trova proprio Berlusconi. Europeista e anti nel volgere di poche ore, continua a tenere aperto il fronte di contestazione verso la Germania e la Merkel, quasi ignorando che nel Parlamento europeo siedono sugli stessi banchi. Un'ingenuità incredibile da parte di chi è stato considerato un maestro nella comunicazione.
Berlusconi ha avuto l'intuizione, nel 2011, di scuotere l'Europa dal rigorismo assoluto e porre, con largo anticipo, il tema della crescita e dell'occupazione. Bene, si rivelò quasi profetico visto che oggi tutti parlano e invocano politiche per la crescita. Ma la gestione politica di quella intuizione sacrosanta è stato quanto di più catastrofico potesse fare. 
Alimentare lo spirito antitedesco, così come la pretesa di Renzi di accerchiare la Germania costruendo un asse con la Francia e la Spagna (suggerimento di Prodi) denota una cecità politica preoccupante. La Germania non va isolata, semmai va coinvolta pesantemente e strattonata perché si assuma fino in fondo la responsabilità di una leadership politica, con gli obblighi che ne derivano. È lo schema esattamente opposto che Berlusconi, Renzi e Grillo dovrebbero sposare per sfidare la Merkel.

E poi le riforme fin qui non fatte e che nessuno farà in Italia. Per questo l'unica vera speranza per cambiare l'Italia rimane la trojka economica. Quella, sì, sarebbe #lasvoltabuona. 

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