martedì 15 aprile 2014

BERLUSCONI, È GIÀ UN'ALTRA STORIA

di Massimo Colaiacomo

Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha dato soddisfazione alle richieste dei difensori e per Silvio Berlusconi si aprono le porte dell'ospizio di Cesano Boscone dove dovrà recarsi una volta alla settimana per fare assistenza ai suoi coetanei. Pena mite o solo ingiusta, come sempre secondo i punti di vista, il fatto è che da oggi l'Italia entra in un'altra storia e il centrodestra, sempre più disarticolato, non esiste se non come espressione. Riferiscono i soliti informati che Berlusconi sarebbe stanco delle beghe da cortile e delle polemiche senza costrutto. Il che è probabilmente vero. Ma quelle beghe e quelle polemiche sono state e sono provocate dall'assenza di un condottiero stremato, forse nauseato da una politica che non lo ha mai appassionato fino in fondo.
Viene in ogni caso da chiedersi come possa un partito ridursi nelle condizioni in cui è Forza Italia. L'assenza del leader-padrone ha il suo peso, ma ancora più decisiva è l'assenza di un ceto politico adeguato. I gruppi parlamentari di Forza Italia non esprimono nessuna (cultura) politica e i singoli parlamentari, con le eccezioni del caso, sono personaggi spuri rispetto al ruolo che dovrebbero ricoprire. Si tratta di persone improvvisate, incapaci di esprimere valutazioni un minimo argomentate sulle questioni di maggior momento.
Forza Italia aveva suscitato un grande sogno e gli italiani l'avevano accarezzato: trasformare l'Italietta provinciale in una moderna democrazia di impronta liberale. Con uno Stato meno invadente nell'economia e nella società. Erano le intuizioni straordinarie del primo Berlusconi, quelle che gli valsero vittorie rapide e quasi plebiscitarie. Si trattava, appunto, di un sogno e gli italiani hanno impiegato parecchi anni prima di rendersi conto che nessun sogno si trasforma in realtà se non è corroborato da una visione politica e da una qualche dimestichezza amministrativa.
Non che la sinistra sia stata al riparo dall'impoverimento generale della politica. Nel centrodestra, però, esso ha assunto caratteristiche specifiche e patologiche. L'idea di trasformare la lotta politica in un casting ha provcato guasti sufficienti per inghiottire una generazione politica. Fino all'idea bislacca dei Club Forza Silvio o delle battaglie animaliste da impostare come pegno dell'affetto per Dudù. Nulla, ma proprio nulla è stato risparmiato all'Italia negli ultimi mesi. Un po' come nel contrappasso dantesco, il berlusconismo, almeno nella sua versione deteriore (perché gli esordi arrembanti avevano la freschezza della novità alla quale si perdonano tante ingenuità) è riuscito a contaminare la scena politica. Senza Berlusconi non ci sarebbe mai stato Renzi, così come in Inghilterra senza Thatcher non sarebbe mai arrivato Blair. Però, fate voi le differenze. Di qua annunci, di là fatti. Di qua grande comunicazione-spettacolo, di là comizi e convention di partiti con tanto di delegati, tesserati e iscritti. Di qua promesse da Rodomonte, di là riforme sudate e incisive.
La rivoluzione parolaia, ieri di Berlusconi, oggi di Renzi, è la miglior garanzia di continuità di un ceto politico selezionato sulla base della fedeltà al capo, dell'applauso fragoroso con cui approva ogni sua parola o della violenza verbale con cui zittisce chiunque lo critichi.
Come uscire da una tale condizione di afflizione è compito improbo per chiunque. Il Paese è trascinato in questa deriva e cercare all'orizzonte un input che riapra le porte della politica diventa un'impresa disperata. L'Italia è entrata in crisi vent'anni fa per l'implosione della politica. Vent'anni dopo non ne esce perché messa alla porta quel ceto politico non è stata capace di trovarne un altro.  

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