domenica 5 gennaio 2014

RENZI NON HA IL PASSO DELL'ALPINO MA PRIMA O POI DOVRÀ FERMARSI PER NON SCOPPIARE

di Massimo Colaiacomo

Matteo Renzi va di corsa. Ha fretta di arrivare, non sa come ma sa dove. Grandi polmoni e   falcate lunghe, ha preso una rincorsa lunga due anni. Si è fatte due primarie nel partito: sconfitto alla prima, trionfatore alla seconda. Travolge gli avversari con un sarcasmo eccessivo perfino per un tosco-fiorentino. Ha desacralizzato la politica, buttato all'aria riti e liturgie per inventarne di nuovi: riunioni di segreteria alle 7; poi convocazioni mobili nelle diverse città; under 40 quelli che lo circondano. Insomma un Pd yé-yé come si sarebbe detto negli anni Sessanta.
Come il venditore leopardiano di almanacchi per l'anno nuovo, Renzi invita gli italiani ad acquistare l'almanacco per il 2014. "Almanacchi per l'anno nuovo, Signori! Comprate l'almanacco per l'anno nuovo sicuramente migliore di quello vecchio!".
Fermiamoci un attimo. Perché l'anno nuovo dovrà essere migliore di quello vecchio? Che cosa scriverà Renzi sotto i tanti titoli sfornati fino a oggi come tante stelle filanti? Unioni civili, via la legge Bossi-Fini, la riforma elettorale, via il tetto del 3%, avanti con il job act ... La sensazione di una abbuffata improvvisa dopo tanta astinenza ha scosso dal torpore la politica, ha riattizzato un po' di curiosità fra gli italiani più scettici e ha riattivato una flebile circolazione di idee. Impiccarsi per stabilire se è poco o tanto non serve.
Renzi è stato finora un grande fenomeno mediatico, con alcune potenzialità, se adeguatamente incanalate, per diventare un grande fenomeno politico. Per capirne di più bisogna vederlo all'opera, a Palazzo Chigi (se gli riesce) o in Parlamento come capo dell'opposizione. La sua strategia politica è stata finora costruita sull'effetto mediatico dei suoi annunci. Sostenere, come ha fatto questi ultimi giorni, che si può sforare il 3% avendo i conti ben bullonati, ha n effetto annuncio notevole. Riuscire a ottenere il via libera dalla Commissione europea è un altro discorso. La sospensione dell'art. 18 per i primi tre anni di lavoro con un contratto a tempo indeterminato è un ottima iniziativa: finanziata da chi è come? Il tema delle tutele crescenti per i lavoratori è una carta importante da mettere sul tavolo di un negoziato con le forze sociali: chi paga e in che modo si paga la tutela crescente del lavoratore? La Pubblica amministrazione come si inserisce nella riforma del lavoro immaginata da Matteo Renzi? Oppure essa rimane un'isola intoccabile come serbatoio di consensi elettorali per la futura sinistra renziana?
Sono tante le domande ancora in attesa di risposta. Renzi parla per slide, ogni tanto si concede l'intervallo di una battuta acida o brillante, ma ancora non produce il rumore tipico del dente dell'ingranaggio ... quel crock-crock che trasmette la sensazione netta di un treno finalmente partito. In questo la similitudine con Berlusconi è molto forte, anche se in Renzi non si avverte la genialità dei contrappunti del Cavaliere. L'innovazione del linguaggio è avvenuta finora soltanto in superficie e la frantumazione delle liturgie è più che altro simbolica, in attesa di farni carne e sangue quando si tratterà di addentare la realtà piatta e prosaica del day-byday.
Il passo spedito del sindaco fiorentino è risuonato fuori del Pd e un po' meno dentro il partito. Il Pd è oggi un santuario vuoto, con il vecchio ceto dirigente rintanato nelle nicchie e silenziato da Renzi. L'acidità contro Fassina e la reattività pronta del viceministro sono la conferma della tensione che circola nel corpo del Pd. I giudizi di Cuperlo e di altri parlamentari della "vecchia guardia" sono la spia che Renzi controlla il partito e i suoi organi creati a immagine e somiglianza del capo, ma lo spirito del renzismo non è ancora entrato nella circolazione sanguigna dei democratici.
Renzi dovrà fermarsi per prendere fiato. La montagna da scalare è alta, e tenere l'occhio fisso sulla vetta, come sa chi ama la montagna, accresce e non diminuisce lo fatica e lo sforzo. Renzi è uno scattista, ma in politica, si sa, a vincere sono sempre i maratoneti. Berlusconi docet: scattista in campagna elettorale, maratoneta con carburazione lentissima al governo. Solo con quelle doti si può resistere sulla scena politica per vent'anni (al momento venti, ma la sua gara non è ancora alla fine).

Sulla legge elettorale Renzi, non si può negare, ha avuto un guizzo geniale: tre proposte, ciascuna delle quali può andar bene a questo o a quello, dentro o fuori la maggioranza. Incontri bilaterali con tutti, quindi anche con Berlusconi, e pentastellati a corto d'ossigeno finiti all'angolo in attesa di un referendum on line sul modello elettorale (facile immaginare il caos che ne verrà). Aggirato il perimetro di maggioranza senza difficoltà, Renzi ha posto le premesse per giocare a rimpiattino con Enrico Letta. Il premier aveva avvisato, poco prima di Natale, che non si sarebbe prestato nel ruolo di punch ball di Renzi presagendo che questo sarebbe stato il suo destino. Invece è andata esattamente così. Fra qualche settimana ci sarà un "patto di coalizione" che avrà la stessa forza di impatto di una photo opportunity senza alcun seguito. A maggio tutti alle urne: da qui ad allora sarà possibile conoscere un po' meglio Matteo Renzi. Perché le secondarie sono un'altra storia rispetto alle primarie.

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