giovedì 26 ottobre 2017

GENTILONI E RENZI DIVISI, PRENDE FORMA IL DOPO ELEZIONI

La riconferma di Visco in Bankitalia e cinque voti di fiducia per l'approvazione del Rosatellum: è la logica imposta dal quadro politico che ha portato Gentiloni lontano da Renzi. Quello in carica è sempre più un governo "amico" per il PD. Il presidente del Consiglio e il segretario del PD arrivano divisi a fine legislatura, e questo aiuta dare forma al dopo elezioni


di Massimo Colaiacomo

     La riconferma di Ignazio Visco governatore di Bankitalia è stata "scambiata" da Gentiloni con l'imposizione di cinque voti di fiducia, tanti ne sono serviti per far passare il Rosatellum al Senato. Il presidente del Consiglio ha pagato un prezzo elevato al segretario del PD. Renzi ha incassato l'approvazione della legge elettorale, imponendo al governo un percorso di guerra contro il Parlamento, e in cambio ha dovuto cedere sulla riconferma del governatore contro il quale continua a indirizzare critiche ogni giorno più taglienti. Uno scenario simile è destinato ad allargare le divisioni tra Gentiloni e Renzi, ma non tra Gentiloni e il PD, un partito che sembra scuotersi alla vigilia del voto e accende la spia dell'allarme contemplando l'isolamento in cui lo hanno cacciato il leader e la sua fede cieca nella nuova legge elettorale.
     L'intemerata del presidente emerito della Repubblica, intervenuto ieri al Senato per criticare le forzature consumate nella procedura parlamentare e la raffica di voti di fiducia che ha impedito il dibattito parlamentare, è destinata a lasciare il segno, ma vale soprattutto come futura memoria visto che Napolitano si è ben guardato dall'attribuire a Gentiloni responsabilità non sue. "Coprire" Gentiloni, in nome della stabilità, ha significato chiamare Renzi sul banco degli imputati. In questa cornice politica, con le opposizioni pro-Rosatellum che entravano e uscivano dall'Aula al solo scopo di assicurare il numero legale e la fiducia al governo, si può misurare agevolmente la distanza incolmabile fra Gentiloni e Renzi, con il primo proiettato già nel dopo-elezioni e il secondo preoccupato di arrivarci stando ancora in sella al PD. Perché il voto "locale" della Sicilia, come vorrebbe Renzi, sembra un detonatore messo lì a bella posta per far deflagrare i malumori accumulati nei lunghi mesi di gestione monarchica del partito. Renzi sa di essere atteso al varco da Franceschini, Orlando, Fassino ma anche da un ministro come Roberta Pinotti, non più di incrollabile fede renziana.
     Che cosa significa il sommovimento in corso nel PD e dove può portare da qui al momento del voto? È difficile pronosticare il punto di caduta di un confronto sempre più aspro e imprevedibile nei suoi sviluppi. Certo è che il meccanismo della nuova legge elettorale è tale da porre tutti i partiti davanti a un bivio: o si è in grado di costruire coalizioni prima del voto, e puntare alla maggioranza del 40%, oppure si è costretti a costruirle dopo mettendo in piedi la maggioranza che la geografia parlamentare consente. Le proteste del M5s, clamorose quanto si vuole, sono destinate a non pesare più di tanto. Un partito che ha nel suo DNA il rifiuto di qualsivoglia alleanza politica non può pretendere di avere una legge elettorale che assecondi il suo obiettivo di sbaraccare il Parlamento e la logica parlamentarista. Grillo e Di Maio pretendono un Parlamento immobile come la maschera di Tecoppa che ai suoi bersagli diceva: non muovetevi, altrimenti non posso colpirvi. Il Rosatellum  segnala, sia pure nei modi sbagliati e confusi, la capacità del Parlamento di mettere in piedi una legge elettorale senza doversi limitare ad accettare le sentenze della Corte costituzionale. Non è il massimo, d'accordo, ma non è neppure poco in questo tempo della politica.
     Rimane da chiedersi se e in che misura Matteo Renzi sia nella condizione di costruire un'alleanza elettorale puntando a vincere le elezioni per governare, o, al contrario, se non abbia già deciso di puntare alla "non sconfitta" per giocare le carte residue di cui dispone nel dopo voto. Sembra, però, che si profili per lui un problema supplementare: un dopo-elezioni senza vincitori è il terreno più adatto per le mosse dell'attuale presidente del Consiglio. Incassare cinque voti di fiducia, sia pure su una materia estranea al programma di governo, senza più disporre di una maggioranza organica è sicuramente un'umiliazione per la democrazia parlamentare, ma è anche una bella prova generale per il dopo voto. Si può dire che sia stato un effetto collaterale non ben ponderato da Renzi.

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