domenica 12 novembre 2017

RENZI NON SPIEGA MA COMPLICA LE VICENDE BANCARIE



di Massimo Colaiacomo
     La lettera del segretario del PD alla Stampa è un piccolo capolavoro di contraddizioni. Tralascio ogni commento sul tono derisorio usato da Renzi per definire il pezzo pubblicato ieri sullo stesso giornale a firma di Marcello Sorgi: ognuno argomenta come sa, e Renzi, evidentemente, sa argomentare in quel solo modo. Vengo al merito: al punto 2 della sua lettera Renzi nega ogni mancata collaborazione e rivendica al suo governo di aver agito "in modo concertato e coeso" e insieme alla Banca d'Italia "hanno cercato di affrontare le numerose sfide che si sono presentate in quei mesi".
     Più avanti, al punto 4, Renzi scrive: "Anziché continuare a evocare la vicenda Banca Etruria, su cui pure sarà interessante nelle prossime settimane ricostruire sul serio l'accaduto anziché usarla come comodo alibi per azzerare ogni critica, sarebbe interessante capire che cosa è accaduto nella vigilanza sugli istituti veneti. E non basta cercare di scaricare in modo irresponsabile le colpe sui predecessori, più o meno autorevoli, come qualcuno potrebbe immaginare di fare, contro la nostra opinione". La "reenactment" renziana vacilla sotto il peso delle sue contraddizioni dalle quali può uscire solo con un atto d'accusa i cui destinatari sono due: Ignazio Visco e il suo predecessore "più o meno autorevole" Mario Draghi. Renzi lancia il sasso e nasconde la mano.
     Affermare, e Renzi lo afferma, che governo e Bankitalia hanno cercato insieme di affrontare le numerose sfide, significa due sole cose: a) o il governo Renzi è stato almeno corresponsabile per i ritardi accumulati nelle iniziative legislative volte a impedire un aggravamento della crisi del sistema bancario; b) oppure le parole di Renzi sono un atto d'accusa a Visco, colpevole di aver mentito al governo sulle reali dimensioni della crisi. Quando la Commissione Casini affronterà il caso del MontePaschi di Siena, dovrà cercare risposte a due questioni: a) l'incarico di advisor conferito dal governo a Goldman Sachs, costato 600 milioni di euro ai contribuenti, per tentare un aumento di capitale e salvare l'istituto con le risorse del mercato; b) che cosa ha spinto il presidente del Consiglio Matteo Renzi, nel gennaio 2016, a sollecitare i risparmiatori all'acquisto di azioni MontePAschi ritenendo risanato l'istituto. Immaginare che anche in quest'ultimo caso si possa chiamare in causa Bankitalia sarebbe non più segno di irresponsabilità, ma sarebbe un atto di pura codardia e viltà politica.

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