venerdì 6 ottobre 2017

MENTRE A ROMA SI DISCUTE, A FRANCOFORTE LA BCE DECIDE

I partiti si accapigliano sulla legge elettorale, che si vorrebbe trasformare in un cordone sanitario attorno al M5s. Il risultato è un tatticismo esasperato che confonde gli elettori ed esalta la coerenza irremovibile dei grillini. Nessuno dei protagonisti, con l'eccezione dell'ex premier Renzi, lancia un occhio alle decisioni della Vigilanza della Bce che prepara misure ancora più restrittive sul credito bancario. Il rischio è di soffocare la ripresa nella culla.


di Massimo Colaiacomo


     Se il "Rosatellum" dovesse finire alle ortiche, si andrà alle urne con la legge elettorale ridisegnata dalle sentenze della Corte costituzionale e in questo caso il segretario del PD ha fatto sapere che sarebbe pronto a candidarsi al Senato, dove rimangono quelle preferenze che Renzi, d'accordo con Berlusconi, ha impedito in tutti i modi che venissero ripristinate alla Camera. Non solo. Se, invece, il Rosatellum, cioè il sistema che prevede il 64% di eletti nei collegi uninominali e il 36% nei listini proporzionali, dovesse tagliare il traguardo dell'approvazione, Renzi ha fatto sapere che il PD deve proporsi come baricentro di una coalizione. Sono soltanto alcune delle mille evoluzioni che hanno fin qui scandito la lunga battaglia parlamentare sulla legge elettorale. I partiti sono alle prese con un rompicapo per il quale non si è trovata fin qui una via d'uscita. Se la prima versione del Rosatellum aveva ottenuto anche l'appoggio del M5s, quella nuova è vista come la lebbra. Ci sono stati cambiamenti, anche rilevanti, come, ad esempio, l'abolizione del premio di maggioranza da assegnare al partito vincitore, nella prima versione, mentre nella nuova stesura va alla coalizione che supera il 40%. Su questo punto il M5s ha alzato le barricate perché vi ha visto, a ragione o a torto, il muro alzato dal sistema dei partiti contro una possibile vittoria dei grillini.
     È sicuramente lecito scrivere una legge elettorale per impedire la vittoria dei propri avversari. C'è un precedente illustre:  le elezioni regionali francesi, nel 1984. Un livido ministro dell'Interno, Gaston Defferre, blasonato e chiacchierato sindaco di Marsiglia, si presentò dal presidente della Repubblica, François Mitterrand, per segnalargli che gli ultimi sondaggi della Gallup davano il Partito socialista prossimo a una cocente sconfitta. "Che cosa suggerisce, presidente?". "Semplice: si cambia la legge elettorale, così vinciamo noi", fu la replica serafica di Mitterrand. Detto, fatto. Il Ps vinse le regionali e Mitterrand pose le basi per vincere un secondo mandato presidenziale. La legge elettorale è lo strumento principale, in democrazia, per conquistare il potere e modificarla secondo convenienza può essere decisivo per non perderlo.
     Non è una forma di spietato cinismo, ma semplicemente la manifestazione del desiderio umano di conquistare onori pubblici e gloria. Si vada a sfogliare qualche pagina del libro straordinario di Giuseppe Maranini, scritto all'inizio degli anni '60, "Storia del potere in Italia". Un titolo dietro il quale scorrono circa quattrocento pagine di storia dei sistemi elettorali, dall'Italia post-unitaria fino al 1950. L'accusa del M5s al Rosatellum bis di rubare agli elettori il diritto di scegliersi il parlamentare potrebbe stare in piedi, se lo stesso M5s accettasse di finire sul banco degli imputati. La professoressa Cassimatis, a Genova, ne sa qualcosa: scelta dagli iscritti al movimento, è stata rimossa d'imperio da Grillo al quale non piaceva ... Più cesarismo di così è difficile da immaginare.
     Le liti sulla legge elettorale hanno fatto passare in secondo piano le decisioni prese dalla Vigilanza bancaria europea. Si tratta di misure draconiane destinate, ove applicate senza modifiche, a peggiorare sensibilmente la politica del credito alle piccole e medie imprese. Esse impongono alle banche di accantonare somme pari al 100% del credito, entro due anni, se sprovvisto di garanzie chirografarie, ed entro 7 anni se provvisto di garanzie chirografarie. Il che comporta per il sistema bancario italiano, ancora alle prese con i crediti incagliati e inesigibili (i no performing loan) oneri aggiuntivi per far fronte ai quali dovrebbero procedere a massicce ricapitalizzazioni anche istituti solidi come Intesa-San Paolo o Unicredit. A Renzi va dato atto di essere stato il primo fra i leader a denunciare questa nuova restrizione. Difficile da comprendere, ma sicuramente micidiale nei suoi effetti che andrebbero a combinarsi, da qui a qualche mese, con il graduale ritiro del quantitative easing voluto da Mario Draghi. Il governo italiano in carica, e quello che verrà, non possono non ingaggiare una dura battaglia a Francoforte. Dietro la decisione della Vigilanza si intravvedono i venti gelidi che tornano a soffiare sulla finanza pubblica italiana e sui titoli del debito, gran parte dei quali in pancia alle banche. Come è facile intuire, il debito pubblico rimane il tallone d'Achille dell'Italia ma di esso difficilmente se ne occuperà qualcuno degli aspiranti premier.

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