domenica 10 gennaio 2016

ITALIA ED EUROPA TENTENNANO MA IL VULCANO LIBICO RIBOLLE

di Massimo Colaiacomo


     La sensibilità e l'intelligenza politica maturate in chi ha visto e vissuto vicende drammatiche sulla scena internazionale sono un patrimonio politico che tutti riconoscono e apprezzano nel presidente della Commissione Esteri della Camera Pierferdinando Casini. Per queste ragioni la sua analisi allarmata sugli sviluppi in Libia, in un'intervista al Quotidiano nazionale, è da tenere nella massima considerazione. L'Isis è impegnata in una corsa contro il tempo per impedire l'insediamento del presidente incaricato Fayez Al Sarray. Gli uomini con la bandiera nera marciano a tappe forzate verso i pozzi di petrolio della Cirenaica, il cui possesso è decisivo per rimpinguare le casse dei terroristi, e cercano di assediare Tripoli e Tobruk, sedi dei due governi finora in contrasto, per impedire, con la capitolazione di una delle due capitali provvisorie, che si realizzi la cornice politica indispensabile per sostenere l'accordo Onu attorno al governo legittimo di Al Sarray.
     Che cosa succede se l'Isis prende i pozzi o i suoi miliziani entrano in una delle due città? Verranno meno le condizioni per l'invio di una missione internazionale sotto l'egida dell'ONU o ne risulterà modificata la sua natura di peacekeeping per farne una forza di intervento rapido, quindi con un profilo militare e di contrasto bellico? Il tempo lavora per l'Isis e l'Europa procede troppo lentamente per fermare le lancette degli orologi. Del resto, l'aggravamento della situazione in Libia si coglie indirettamente nelle parole del premier Renzi. Diversamente che dal recente passato, il premier si limita da qualche giorno ad assicurare che l'Italia "c'è e ci sarà" nella coalizione impegnata a  consolidare il governo legittimo libico ma non rivendica più per il nostro Paese un ruolo di protagonista o di guida della coalizione. È la presa d'atto che la velocità dei mutamenti militari sul terreno libico impone un atteggiamento di assoluta prudenza, o meno spavaldo, rispetto al ruolo che l'Italia potrà svolgere nella missione.
     Intanto rimane quanto mai vaga l'entità delle forze militari necessarie, così come ancora da definire sono le regole d'ingaggio, il suo dispiegamento sul territorio e gli obiettivi da presidiare. Al Sarray, insomma, dovrebbe insediarsi con il solo sostegno di quello che rimane delle poche forze di polizia e militari libiche. Il paradosso degli accordi di Rabat è tutto in questa scommessa: se Sarray riuscirà a insediarsi e a trovare un accordo che accontenti i due governi provvisori, allora la forza multinazionale interverrà per sostenerlo. Nessuno ha spiegato però che cosa accadrà se l'Isis riuscirà a bloccare questo processo, con la conseguenza inevitabile di nuove convulsioni e il dilagare incontrollato del terrorismo. A quel punto sarebbe tardi per tutti e la Libia diventerebbe l'ultima trincea persa per la democrazia europea. Di questa eventualità pare che ci sia scarsa consapevolezza a Berlino come a Bruxelles o a Parigi. Il vulcano libico è pronto a esplodere e a investire con lava e lapilli la sonnacchiosa Europa. 
     
  

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