mercoledì 30 dicembre 2015

L'ITALIA FUORI DALLE SECCHE MA IL MARE APERTO È ANCORA LONTANO


di Massimo Colaiacomo

     Fuori dalle secche, per una nave o una balena, significa la speranza di riguadagnare il mare aperto, recuperare la rotta per la nave e ricongiungersi al branco per la balena. L'immagine così spesso usata dal premier negli ultimi giorni rende l'idea, ma solo fino a un certo punto, di un Paese desideroso di ritrovare coraggio in se stesso, di scrollarsi di dosso le troppe incertezze e non poche paure accumulate negli ultimi anni.
     Il bilancio tracciato da Renzi nella conferenza stampa di fine anno è in chiaroscuro per ammissione dello stesso premier. Le parole rassicuranti, si trattasse delle banche o del terrorismo, dell'occupazione o delle riforme istituzionali, sono state insolitamente prudenti. Messi da parte i toni trionfalistici che sempre gli vengono rinfacciati dalle opposizioni, Renzi ha scelto quasi un low profile, insolito per il suo carattere esuberante. Non si spiegherebbero altrimenti le dure parole di critica all'Europa e alle politiche economiche imposte da Bruxelles e definite da Renzi "recessive" per essere contrapposte a quelle espansive e lungimiranti di Barak Obama. Un premier in versione anti-europeista è la conferma delle difficoltà nella politica economica di bilancio, maggiori in Italia che nel resto d'Europa, a causa delle quali - nella versione di Renzi - la ripresa è in Italia più stentata che altrove.
     L'impostazione di Renzi risulta perciò difensiva in chiave di politica interna, mentre cerca nelle norme e nel rigorismo europeo l'alibi per la parzialità dei successi in campo economico. Come a dire: io ho fatto quello che potevo, con questa maggioranza e in questo quadro politico. Il resto (e non è poco!) dipende dall'Europa. C'è, in questa impostazione, una calcolata strategia di contenimento verso l'anti-europeismo dei populismi di destra (Salvini) e di sinistra (Grillo). Come il ciclista in difficoltà cerca di mettersi nella scia di chi lo precede, così Renzi cerca di "succhiare" la ruota ai suoi avversari anche a rischio di una eccessiva esposizione in Europa.
     Un passaggio, in particolare,  ha reso meglio di altri l'idea della strategia renziana: la piena e totale sintonia con l'America di Barack Obama. Sintonia in politica estera, nel contrasto al terrorismo islamista e, non trascurabile, sintonia nelle politiche espansive di bilancio per acciuffare il treno della crescita. Come può essere letta, in termini più generali, questa completa identità di vedute con Obama, un presidente ormai alla fine del suo mandato? Renzi ha voluto rimarcare, attraverso la sponda obamiana, il suo disaccordo con l'impostazione delle politiche economiche prevalenti oggi in Europa. Da un altro lato, ha ancorato la politica estera alla sponda più di altre decisiva per garantire all'Italia un ruolo da protagonista negli sviluppi della situazione libica.
     Quali sono i possibili limiti di questa impostazione? Il racconto renziano si arena quando la rappresentazione della realtà viene messa a confronto con la realtà europea. Sul tema della crescita, per esempio, la tesi "recessiva" sparisce quando si guarda ai livelli di crescita degli altri Paesi europei. Colpisce, in particolare, la forza della crescita in quei Paesi che hanno accettato di sottoporsi alle cure della trojka (Spagna, Portogallo, Irlanda, con l'eccezione della Grecia). Sono cresciuti più degli altri 25 Paesi dell'UE. Non è forse una smentita alla tesi renziana, che è poi anche della destra italiana, secondo cui l'austerità imposta da Berlino ha impedito la crescita? Perché Renzi, come prima di lui Letta, Monti e Berlusconi, non ha trovato il coraggio di intervenire sulla spesa pubblica con tagli radicali e, almeno nel breve termine, socialmente dolorosi, sapendo che nel medio periodo avrebbero impresso una spinta considerevole alla crescita del PIL?
     Renzi non lo ha fatto esattamente per gli stessi motivi di Berlusconi, Monti e Letta: la spesa pubblica è una potente leva per raccogliere consenso elettorale, lo è in ogni democrazia ma in Italia lo è più che altrove. Per questa ragione, Renzi ha deciso di giocare la partita della vita sul referendum istituzionale che si terrà il 15 ottobre 2016: solo se sconfitto in quella circostanza sarà pronto a farsi da parte. Tutti gli altri dossier (politica economica, elezioni amministrative) finiscono sullo sfondo della strategia renziana: quelle sfide vengono messe in stand by in attesa di tempi migliori. Anche per Renzi, come lo fu per Andreotti, "tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia". 

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