mercoledì 10 dicembre 2014

LO STATO GESTORE È IL GRANDE ALLEATO DELL'ANTIPOLITICA

di Massimo Colaiacomo

     L'antipolitica non è ineluttabile come una piaga biblica né si può considerare un "male oscuro" provocato da microrganismi ignoti alla scienza e penetrati nelle fibre della società italiana. Essa, al contrario, è nata, almeno in Italia, nelle viscere stesse della politica, dai fallimenti di un ceto di replicanti composto da personale raccogliticcio e improvvisato, per lo più rozzo e privo di quel "senso comune" delle cose e della storia della Nazione senza il quale è a rischio la coesione nazionale.
     La storiaccia di Roma è esemplare sotto questo aspetto. I suoi protagonisti sono dei delinquenti comuni, con trascorsi politici, che hanno conquistato posizioni di rilievo nelle istituzioni locali e nella vita economica capitolina perché consapevolmente chiamati dalla politica a quei ruoli. Carminati o Buzzi non hanno dovuto bussare alla porta del Campidoglio perché essa era già aperta e pronta ad accoglierli e a servirsi della loro opera corruttrice.
     La politica ha bisogno di soldi per manifestarsi all'opinione pubblica. Ha bisogno di soldi per organizzare le campagne elettorali, per occupare il più stabilmente possibile i primi posti nella vetrina del consenso. Tanti soldi servono per mantenere in piedi gli apparati di partito.
     Da dove arrivano i finanziamenti alla politica in un sistema democratico? In genere dallo Stato, dunque dagli stessi elettori, almeno in Europa; dalle fondazioni e dalle grandi "corporate" in America e nel mondo anglosassone. I primi, cioè i soldi pubblici, non bastano alle casse dei partiti i quali si arrangiano come meglio, anzi, peggio possono: tangenti, nomine pubbliche vendute come nel basso medioevo si vendevano le cariche dei vescovi-conti, appalti pilotati.
     Lo Stato gestore di attività economiche è il primo e migliore alleato dell'antipolitica. Chiunque voglia sbertucciare la classe politica nell'ultimo paesino d'Italia non deve affannarsi molto, gli basterà vedere le assunzioni in una municipalizzata o il tenore di vita degli assessori e il gioco è fatto.
     Il dramma italiano contiene, come molti drammi lirici, un paradosso. Ed è che la politica deve, se vuole davvero riappropriarsi del suo ruolo di guida nella società, deve tornare a essere se stessa liberando la società dalle pastoie in cui l'ha messa. Berlusconi, Renzi e tutti i protagonisti dello show quotidiano dovrebbero rendersi invisibili e, mettendo a frutto questa astinenza, lavorare all'unica vera riforma necessaria all'Italia: la ritirata completa e senza eccezioni dello Stato dalla vita economica, dalla gestione diretta e, ancor più, indiretta da ogni attività economica.
     Il contrasto alla corruzione non può essere fatto da chi è il destinatario dell'atto corruttivo. Per dire: non si può nominare il conte Dracula commissario liquidatore dell'Avis perché tutto farà tranne che privarsi della mensa a cui si nutre.
     Renzi si è dato un tempo biblico per ridurre da 8000 a 1000 le aziende municipalizzate. Con L motivazione che non si può fare di tutta l'erba un fascio. Errore gravissimo e cibo fresco per il grillismo. Le municipalizzate italiane, ventre molle e sempre gravido del "socialismo locale", sono l'Avis da cui la politica trae il suo nutrimento quotidiano anche se per nutrirsi usa lo schermo della delinquenza più o meno organizzata. Esse vanno privatizzate, vendute o chiuse, con un decreto ad hoc, anche a rischio di lasciare senza lavoro migliaia di persone. Se, al contrario, il Paese si lascerà impietosire dalla questione sociale, l'antipolitica avrà avuto partita vinta. Meglio 200 mila dipendenti pubblici senza lavoro e la democrazia salva piuttosto che la morte per asfissia di una Nazione.

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