sabato 6 dicembre 2014

DRAGHI COMPRA TEMPO, RENZI NON DEVE SCIUPARLO

di Massimo Colaiacomo


     Nessuna persona ragionevole pensa che il giudizio di Standard and Poor's sia la fine dell'Italia. Nessun esponente dell'opposizione e di Forza Italia in particolare può scagliare la bocciatura del Paese contro il governo Renzi dopo aver inveito contro le agenzie di rating a suo tempo accusate di "complottare" contro Berlusconi quando, nel 2011, spararono una raffica di giudizi negativi contro il suo governo.
     Nell'intricata e miserevole vicenda politica italiana, il giudizio dell'agenzia americana sull'affidabilità del debito non aggiunge nulla a quanto già non sia stato scritto e detto. S&P dubita che la riforma del lavoro possa incrementare l'occupazione ma, più in generale, dubita che le riforme fin qui più annunciate che fatte possano essere realizzate nei tempi rapidi richiesti dalla situazione di default tecnico del nostro debito pubblico.
     Il premier ha fatto mostra di non preoccuparsi più di tanto del downgrade sul debito, portato a soli due passi dal giudizio di junk (ciarpame, paccottiglia) in cui si trovano tuttora i titoli della Grecia. Renzi avrà le sue buone ragioni per ostentare sicurezza, ma la realtà oggettiva è contro di lui. Provo a spiegare perché.
     La Legge di stabilità ha ridotto le tasse per circa 16 miliardi sui redditi da lavoro e da impresa ma  punta a recuperare grosso modo la stessa cifra con un aggravio dei tributi (casa) e un incremento della tassazione sui redditi immobiliari  e mobiliari (risparmio, fondi pensioni, ecc). Troppo poche le riduzioni per riattivare il ciclo dei consumi o incentivare le assunzioni, in cambio sono troppo onerosi gli aggravi per incoraggiare una visione rilassata dal lato dei consumi mentre c'è da credere che sarà incrementato nuovo risparmio prudenziale.

     Per marzo 2015 è atteso il verdetto della Commissione europea sulla Legge di stabilità. C'è da credere che nessun commissario si lascerà influenzare dalla bocciatura di S&P (va detto, peraltro, che la stessa agenzia ha confermato il giudizio di "stabile" sul debito italiano almeno per quanto riguarda l'overview nel medio termine). Renzi dovrà però impegnarsi, da qui a marzo, a implementare le riforme e, per quanto riguarda il lavoro, a riempire di contenuti i decreti delegati, possibilmente in senso meno lassista rispetto agli impegni chiesti al governo da diversi ordini del giorno del PD in particolare.

     Da qui ad allora, l'Italia potrà contare sullo scudo di Mario Draghi. Uno scudo temporaneo (il governatore della BCE, almeno in questo, ha gli stessi poteri di altri governatori centrali: "compra" tempo e gira l'acquisto alla politica perché ne faccia l'uso migliore) perché il quantitative easing non è la panacea per i mali cronici dell'Italia. Il QE, oltretutto, varato per acquistare i titoli di Stato sul primo mercato, sarà ripartito pro-quota fra i singoli Paesi. Ciascuno di essi verrà gratificato di acquisti in proporzione alla quota di partecipazione al bilancio europeo e uno studio dell'Istituto San Paolo di Torino ha quantificato in circa il 4% l'acquisto di titoli del debito italiano da parte della BCE. Poca cosa, rispetto all'8% che spetterà alla Germania o al 5% della Francia.

     Se questo è il quadro è lecito chiedersi se l'agenda politica di Renzi è stata o sarà calibrata in funzione di queste priorità. È difficile credere che la legge elettorale rientri fra le questioni su cui si soffermerà l'attenzione della Commissione, mentre è sicuro che userà la lente di ingrandimento sulla riforma del lavoro, sui tagli alla spesa pubblica corrente, alla spesa previdenziale e in genere all'apparato pubblico.

     Renzi ha tutto l'interesse a incoraggiare un clima rilassato all'interno della maggioranza e a non incrinare oltre un certo limite il rapporto con Berlusconi. Se le priorità accennate sono anche quelle del premier, Renzi dovrà fare concessioni, o almeno evitare irrigidimenti, su un passaggio politico delicato come l'elezione del presidente della Repubblica. Il rischio che su questa o un'altra questione si aprano altre fratture nella maggioranza potrebbe rendere drammatico l'appuntamento europeo di marzo.

     Per quel tempo, Renzi dovrà aver fatto le riforme per le quali Draghi da gennaio comincerà a "comprare" il tempo, acquistando Btp e schiacciando ancora di più lo spread Btp-Bund, probabilmente a ridosso di 90-100 basis point. A quel punto, Draghi, un po' come il bimotore che fa da traino, dovrà ritirare il cavo e l'aliante Italia dovrà volare da solo. A Renzi non basterà  incrociare le dita.

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