sabato 8 giugno 2013

PER LETTA LA UE NON È' LUOGO DI CONFLITTO MA ANCORAGGIO PER IL GOVERNO

di Massimo Colaiacomo

     Il governo italiano non ingaggerà nessun braccio di ferro con Berlino, né al vertice quadrangolare di venerdì prossimo con i ministri di Germania, Spagna e Francia, né al vertice di fine giugno. Enrico Letta non ha raccolto l'invito di Berlusconi e non certo per uno sgarbo politico verso un alleato fin qui sempre leale. Quanto per la difficoltà di un'impresa il cui esito, come sa bene Berlusconi, è segnato già in partenza. Soprattutto, però, Letta non vuole ritrovarsi in un orizzonte europeo fatto di fibrillazioni con un partner decisivo come Berlino. Il presidente del Consiglio ritiene più utile assediare il governo tedesco scavando trincee insieme ad alleati come Parigi per convincere la cancelliera sull'urgenza di affiancare se non proprio anteporre le politiche per l'occupazione giovanile alla politica di risanamento dei bilanci pubblici.
     Fin dal giorno dell'insediamento, Letta ha agganciato il suo governo all'Europa nel tentativo non peregrino di dare all'agenda del suo esecutivo una profondità temporale e una cornice politica ambiziosa per sottrarla così al gioco estenuante della politica domestica impegnata già dal giorno dopo la nascita del governo a strologare sulla sua durata. La replica indiretta di Letta al Cavaliere non deve stupire: essa si muove in assoluta continuità con il discorso pronunciato all'atto del suo insediamento.
     Trasformare l'Europa in un ring di rivendicazioni nazionalistiche vorrebbe dire per Letta rinunciare a una polizza assicurativa sul governo per lasciarsi risucchiare in una dinamica tutta italiana con tutte le conseguenze che essa comporterebbe. Lo scambio quotidiano d'accuse fra il Pd e Berlusconi, ognuno accusando l'altro di indebolire il governo, è la prova evidente per Letta che è in Europa che deve puntare a ottenere qualche soddisfazione se vuole disinnescare le mine disseminate da alleati infidi e sospettosi sulla strada dell'esecutivo.
     Chi oggi accusa il premier di muoversi in Europa e nei riguardi di Berlino con lo stesso timore reverenziale di Mario Monti, trascura alcuni fatti non marginali. A partire dal mutato quadro macroeconomico in Europa e dalle sopraggiunte difficoltà che stanno rallentando il passo della locomotiva tedesca. Per tacere della differente tempistica in cui operano i due governi: con quello attuale aiutato dalla circostanza delle elezioni tedesche ormai dietro l'angolo e dunque con la necessità per Angela Merkel di "battere un colpo" anche in patria se vuole evitare che la spirale recessiva trascini la stessa Germania nelle difficoltà delle "ex cicale" mediterranee.
      La pressione di Berlusconi sul governo in chiave anti-tedesca è anche, a ben vedere, il tentativo abile di mettere il governo al riparo dalle polemiche italiane. Se è vero che lo stesso Epifani ha riconosciuto non del tutto infondate le critiche di Berlusconi alla posizione di Berlino, è facile allora comprendere come dietro lo schermo della polemica spicciola, i due alleati per forza o per convenienza lavorano "per" e non "contro" il governo, scaricando sulla Germania i ritardi o le timidezze fin qui mostrate da Letta sul fronte delle misure anti-crisi.
     La verità prosaica è che il governo Letta continua a godere di un punto di forza notevole quale è la mancanza di alternative. Né il Pd né Berlusconi dispongono di soluzioni di ricambio a questo quadro politico e il progressivo disfacimento delle truppe grilline si trasforma in un aiuto insperato e notevole al governo. Questo processo è appena avviato ed è difficile pronosticarne la durata e la profondità.  È evidente, però, che una qualsiasi accelerazione improvvisa potrebbe costituire una tentazione elettorale per Berlusconi e per il segretario che il congresso Pd sceglierà a ottobre. Fino ad allora la navigazione di Letta sarà agitata e difficoltosa ma mai a rischio.
     Né sarà a rischio per i procedimenti giudiziari e le sentenze di Berlusconi. Non è immaginabile per il Cavaliere correre alle urne dopo una condanna. Sarebbe un suicidio politico e Berlusconi, come ha dimostrato in questi anni, è meno avventato di quanto lo facciano lì avversari e forse qualche suo alleato. Per andare alle urne il leader del PdL, ma anche il Pd, aspetterà una svolta nelle politiche economiche europee e quindi un allentamento del rigorismo monetario, due condizioni preliminari per presentarsi al cospetto degli elettori senza più le ricette recessive di questi anni.
     Il vero spartiacque di questa legislatura restano le riforme costituzionali. Se davvero il Parlamento saprà e vorrà trovare il bandolo della matassa entrò i 18 mesi prestabiliti da Letta e dal Quirinale, è verosimile che allora si potrà aprire uno scenario elettorale. Sempre che, è ovvio, il presidente Napolitano non decida di dimetterai per le mutate regole di elezione della sua carica.
     

Nessun commento:

Posta un commento