sabato 15 giugno 2013

IL GOVERNO NON RISCHIA SU IMU E IVA MA E' LA SPACCATURA DEL PD L'INSIDIA MORTALE PER LETTA



di Massimo Colaiacomo

     Nessuno, e Letta per primo, ha mai immaginato per il governo una navigazione tranquilla al riparo da fortunali e tempeste. La scarsa coesione programmatica della maggioranza è sotto gli occhi di tutti ed è destinata ad aumentare a mano a mano che il premier affronterà i capitoli del programma. Le vicende irrisolte della cancellazione dell'IMU chiesta dal PdL e del blocco dell'aumento dell'IVA, chiesto anche dal Pd, rappresentano soltanto l'antipasto delle difficoltà che attendono il governo. 
     Il premier deve far di conto con i vincoli di finanza pubblica posti dall'Europa, il cui puntuale rispetto è stato ancora oggi confermato da Letta al presidente della Commissione europea Barroso. Ma deve anche smuovere le acque stagnanti della politica sociale e fiscale. Fino a oggi Letta è riuscito nell'impresa di rovesciare le priorità nell'agenda dell'esecutivo, mettendo l'occupazione giovanile e il sostegno alle imprese prima di IMU e IVA. La forza dei fatti si impone però rispetto alla strategia di sopravvivenza e conferma che politica sociale e politica fiscale sono due facce della stessa medaglia. Creare lavoro e affrancare 50 o 100 mila giovani dalla schiavitù della disoccupazione è un obiettivo sicuramente urgente e anche l'unica strada da percorrere per alleggerire la tensione sociale che si va accumulando in molte parti d'Italia, soprattutto al Sud. È pur vero, come ha osservato Maurizio Bertelli in un'intervista al Sole 24Ore di venerdì 13 giugno, che per creare nuova occupazione serve avere un mercato in grado di assorbire la maggiore quantità di beni e merci prodotti. E il discorso, come si vede, scivola sulla politica fiscale, sulla sempre più scarsa disponibilità di reddito degli italiani che tutti gli istituti di analisi vedono in caduta libera da oltre 6 anni.
     Le difficoltà del quadro economico e i vincoli di finanza pubblica sono due ostacoli oggettivi sulla via del governo ma sbaglierebbe Letta a trasformarli in alibi permanenti per giustificare un'azione fin qui incerta e ondivaga sul piano sociale e fiscale. Al suo governo è richiesta una doppia dose di coraggio: nel superare, da un lato, gli ostacoli oggettivi e per così dire "esterni",  e, dall'altro lato, nel rimuovere i diktat che le forze di maggioranza cercano di far valere. Letta deve trovare la forza politica che una maggioranza slabbrata non riesce a garantirgli e dare slancio all'azione dell'esecutivo prima di vedere il vascello immobilizzato in mezzo alla bonaccia.
     La scelta di temporeggiare potrebbe essergli fatale. Come dimostra l'intervista dell'ex segretario Pd al   Corriere della Sera di oggi. Bersani, dopo aver giocato come peggio non poteva gli esiti del voto politico di febbraio, lascia intuire l'animo malmostoso di chi è in cerca di una rivincita politica. Ma la sua analisi sullo sfaldamento dei gruppi parlamentari grillini e sulla conseguente possibilità di riaprire le porte a un equilibrio politico diverso per esprimere un governo "di sinistra" lascia francamente basiti. Non si sa se più per l'ingenuità del proposito, o più per la difficile se non impossibile realizzazione.
     Un fatto è certo: Bersani è riuscito, con il piglio maldestro dei suoi momenti peggiori, a concentrare sul Pd il sospetto che è da quelle parti che si coltivano i disegni volti a destabilizzare l'esecutivo Letta. Non più, dunque, l'esito delle vicende processuali di Berlusconi, ma il congresso di fatto aperto nel Pd si presenta oggi come l'insidia maggiore per il cammino del governo.
     L'intervista di Bersani è un potente assist, sotto ogni punto di vista, a Berlusconi. Nel senso, almeno, che essa offre un alibi a quanti nel PdL lavorano per stabilizzare il governo e vedono regalato al partito il ruolo di "guardia imperiale", di sostenitore leale e senza remore dell'esecutivo Letta. Con un contraccolpo nel Pd, c'è da sospettare, non calcolato da Bersani: vale a dire il rinnovato sostegno giunto subito nel pomeriggio di oggi dai renziani e delle altre correnti del Pd a Letta. Bersani è insomma riuscito a ritrovarsi in una posizione di isolamento nel partito senza avere peraltro mai costruito una sponda esterna. Pensare, come Bersani pensa, alla possibilità di rovesciare l'attuale maggioranza per sostituirla con quella da lui immaginata all'indomani del voto (vale a dire Vendola e i transfughi del grillismo) è quanto di più azzardato potesse ipotizzare un politico navigato come lui.
     La stessa premessa (se Berlusconi ritira il sostengo al governo in seguito a una sentenza di condanna) è debole come se non più della conseguenza. A un altro leader sarebbe venuto in mente, in uno scenario come quello ipotizzato, di puntare al sostegno di una parte del PdL e non certo di provocare un ribaltone con cambio di maggioranza.
     Con la sua sortita, Bersani ha sicuramente ridato fiato alle spinte centrifughe che sembravano sopite nel Pd. E' evidente che Letta non può stare a guardare e lasciarsi rosolare a fuoco lento a causa dei giochi congressuali aperti nel Pd. A questo punto, dovrebbe essere interesse del premier e di Matteo Renzi forzare la mano al segretario Epifani per accelerare i tempi del congresso. Ogni ritardo rischia di aprire varchi a chi, Bersani oggi e domani non si sa chi, punta a rovesciare il tavolo della maggioranza in odio alle "larghe intese". Accelerare sul congresso è anche il solo modo possibile per evitare che la dialettica interna si trasformi in una miccia corta in grado di far esplodere il Pd.
      
     
        

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