sabato 24 febbraio 2018

UN VOTO PER PIÙ EUROPA (E MENO BONINO E MENO SOROS)


di Massimo Colaiacomo

Si può avere più Europa senza Emma Bonino e "meno" George Soros? La domanda è deliberatamente provocatoria perché provocatori sono certi accostamenti fatti in queste settimane e riconducibili a esponenti politici, non solo italiani, sia di sinistra che di destra sul presunto ruolo svolto dal finanziere ungaro-americano e sulle sue propaggini politiche nel determinare le posizioni dell'Unione europea su questioni controverse come l'immigrazione e le politiche di accoglienza. Attraverso la sua Open Society Foundation, Soros opera, dal 1991, nel campo della charity e ha profuso energie (e soldi) in quantità straordinarie. A cpminciare dal suo paese natale, l'Ungheria, da lui aiutato senza risparmio nella complicata fase di transizione dal comunismo a un'economia di mercato.
Per Soros, come per ogni finanziere che si rispetti e desideri rendere sempre più floridi i propri affari, la speculazione finanziaria è uno strumento prezioso grazie al quale accrescere il patrimonio delle proprie società e suo personale. Che cosa poi spinga un uomo ricchissimo a volgere la propria attenzione alla beneficenza, a soccorrere i poveri, magari dopo averne creati con il proprio lavoro, rimane uno dei misteri più affascinanti in cui si trascina l'umanità. E in questo mistero Soros può dire di specchiarsi come pochi altri. Speculare, sia chiaro, non è un reato, e soltanto la letteratura politica un po' becera di questo tempo può vedere nello speculatore un affamatore di popoli. La speculazione non è la febbre, come si dice, ma è soltanto il termometro che misura la febbre provocata dagli errori e dalle inadempienze della politica. Il finanziere abile, senz'essere necessariamente vorace o cattivo, con la sua azione segnala gli abbagli e le presunzioni della politica. Accadde così con la speculazione di contro la sterlina, all'inizio degli anni '90, circostanza dalla quale, si racconta, Soros trasse un profitto stimato in circa 1 miliardo di sterline.
Sorprende non poco, però, vedere questo anziano signore buttarsi a capofitto sulla questione dell'immigrazione e sulle politiche in materia dell'Unione europea. Tanto ardore ha già fruttato uno scontro aperto e durissimo fra Soros e il governo del suo Paese natale essendo l'Ungheria di Viktor Orban, al pari della Polonia, contrarissima alla ripartizione delle quote di immigrati. Con la conseguenza che il governo ungherese ha deciso di chiudere l'Università privata costeruita da Soros a Budapest. Più sotterraneo, ma non meno incisivo, è il lavoro ai fianchi dell'Unione europea. A Soros si attribuiscono rapporti di amicizia, eufemismo per non parlare di finanziamenti, con una quota rilevante degli europarlamentari soprattutto tra le file della sinistra, per sostenere la causa dell'immigrazione. Qualcuno potrebbe chiedere al finanziere perché mai la sua fondazione non impieghi massicce risorse per lo sviluppo dei territori di provenienza dell'immigrazione. Oppure, perché mai si preoccupa di legare il rilancio dell'Unione europea alla capacità dei suoi Paesi membri di assorbire quote crescenti di immigrazione. 
Tanto fervore ha destato e desta più di un sospetto sulle reali finalità di questo lavoro di lobbying. Soros è anche impegnato a sostenere i gruppi anti-Brexit in Gran Bretagna, così pure finanzia i gruppi politici ostili a Orban o al governo polacco. La sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa che va oltre l'attività della charity è molto forte perché alcune di queste attività, come anche il finanziamento dei gruppi anti-russi in Ucraina, nulla hanno a che vedere con la soccorevolezza verso gli ultimi e molto, invece, hanno a che fare con le strategie politiche nazionali o dell'Unione europea. Si tratta, insomma, di una robusta capacità di condizionamento delle scelte politiche, compito reso più agevole a Soros dalle divisioni nazionali. Lui, in passato ostile all'Unione europea, oggi è, al contrario, un suo fervente sostenitore ma secondo una logica che monopolizza il tema dell'immigrazione fino al punto di vedervi il motore unico ed esclusivo di ogni ripresa del processo di integrazione.
Domanda che si pone l'elettore che domenica 4 marzo si reca alle urne: come posso votare per i partiti europeisti senza che il mio voto venga assimilato a un sostegno a Soros? Domanda che si pone l'elettore indeciso: se non vado a votare, chi ne trae maggiore beneficio, gli antieuropeisti? La risposta alla prima domanda è semplice: andare a votare e non votare la lista Più Europa di Emma Bonino. La risposta alla seconda è banale: gli antieuropeisti sono i beneficiari del non voto o della scheda nulla e beffarda.

  

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