martedì 6 marzo 2018

IL POPULISMO SCUOTE L'EUROPA, MA SOLO IN ITALIA GOVERNA


di Massimo Colaiacomo

     La lunga stagione della delegittamazione della politica ha avuto il suo culmine con il voto del 4 marzo. Gli elettori hanno fatto calare il sipario su Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e hanno messo sugli altari il movimento Cinquestelle e il leader della Lega Nord, Matteo Salvini. Giudizio più netto non poteva venire dalle urne anche se lo scenario disegnato dal voto si annuncia denso di incognite complicate per risolvere le quali non sarà sufficiente la tenacia e l'abilità che tutti riconoscono al presidente Mattarella. Senza un supplemento di responsabilità da parte dei vincitori il quadro politico è destinato ad aggrovigliarsi e nuove elezioni sarebbero inevitabili, con conseguenze al momento non facili da immaginare. Preso atto del verdetto elettorale, i partiti sono attesi a una seria riflessione sulle ragioni che hanno sconvolto la rappresentanza politica in Parlamento come non è accaduto in nessun altro Paese europeo, con l'eccezione dei Paesi ex comunisti (Ungheria, Polonia, Slovacchia) in cui però le forze politiche tradizionali resistono e hanno una rappresentanza importante in Parlamento.
     Giusto allora chiedersi perché le forze populiste, presenti in Germania non meno che in Francia, Spagna e Gran Bretagna, soltanto in Italia sono cresciute al punto da diventare forze di governo. Perché il Paese con l'opinione pubblica più europeista, almeno fino alla firma del Trattato di Maastricht, è scivolato via via fino a tramutare l'entusiasmo in rifiuto dell'Europa? Salvini e Grillo non vengono dal nulla o da un altro pianeta. Le loro idee e i loro giudizi hanno trovato terreno fertile in un'opinione pubblica alla quale per decenni è stato spiegato che la causa dei nostri problemi stava nelle regole europee, nel rigore di bilancio tedesco imposto agli altri partner. Hanno predicato così Silvio Berlusconi e lo stesso Matteo Renzi, prima di una strumentale riconversione in chiave europeista in campagna elettorale.
     I partiti hanno seminato vento e il 4 marzo hanno raccolto tempesta. È dal lontano 1992, con l'esplosione di Tangentopoli, che la politica è stata messa in mora. È da un quarto di secolo che agli elettori viene chiesto di votare contro qualcuno o contro qualcosa dietro la promessa di regalare quello che il Paese non ha. È vero che il populista Salvini, fiero di esserlo, ha smorzato il suo antieuropeismo una volta intravista la soglia di palazzo Chigi. I Cinquestelle sono pronti a violare il limite del 3%  nel rapporto deficit-Pil, ma sono anche disponibili a rinunciare al referendum sull'euro. Si tratta in ogni caso di impegni molto vaghi, come vaghe sono state finora le minacce. Così la "promessa" di rimpatriare 600 mila clandestini, che nessun governo, foss'anche sorretto da una maggioranza straordinaria, può essere in grado di mantenere.
     Dar vita a un esecutivo che abbia un certo orizzonte temporale diventa, leggendo i numeri del voto, un'impresa titanica, al di là di ogni ragionevolezza. Il presidente Mattarella non può aver apprezzato i paletti messi da un Renzi "candidato alle dimissioni" da segretario. Il rifiuto a qualsiasi alleanza con le forze populiste ed estremiste è soltanto la manifestazione di un orgoglio politico fuori misura per chi ha guidato il partito a una rotta elettorale e politica superiore a quella della SPD di Schultz. Un governo ci sarà e non sarà, come immaginano Di Maio e Salvini, un governo coeso e "anti-inciucio". Uno dei più brutti neologismi coniati dalla politica recente è destinato a nuova vita proprio con la nascita di un esecutivo che avrà, per necessità, il sostegno di forze esterne al M5S o alla coalizione di centrodestra. E il PD, pur nella sconfitta, sarà ancora decisivo con i suoi parlamentari. Da qui a immaginare l'Italia laboratorio di una nuova dimensione della politica e della rappresentanza parlamentare ne corre abbastanza. Tutt'al più l'Italia può essere il laboratorio di quello che può accadere in una grande democrazia quando la politica smarrisce il filo e il proprio ubi consistam. L'ultimo, e il più fatale errore è pensare che la nascita di un esecutivo purchessia consenta di archiviare quello che è accaduto il 4 marzo.

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