martedì 6 febbraio 2018

NEI FATTI DI MACERATA L'8 SETTEMBRE DELLA POLITICA


di Massimo Colaiacomo

     Se qualcuno cerca un'immagine rappresentativa del fallimento della politica in questo tempo, i fatti di Macerata sono una sintesi drammaticamente perfetta. Un Paese ferocemente diviso fra le "anime belle", sempre pronte a inarcare il sopracciglio contro la barbarie della realtà, e i razzisti à la carte pronti a farsi giustizia contro gli immigrati brutti, sporchi e cattivi. In mezzo a queste due tifoserie belluine, sta il vuoto pneumatico dello Stato, l'evanescenza dei suoi rappresentanti e la solitudine di chi dovrebbe rappresentarlo sul territorio.
     Ogni volta che qualcuno prova ad alzare il velo sul fenomeno dell'immigrazione si espone a un fuoco di fila senza scampo: gli immigrati sono una "risorsa", vanno accolti e integrati e avere un'idea diversa significa essere almeno razzisti. Se , invece, quella stessa persona si azzarda a ipotizzare che il flusso incontrollato di immigrati mette a repentaglio gli equilibri sociali e aumenta il senso di insicurezza dei cittadini, ecco che scatta il coro delle contumelie contro il ritorno del razzismo, del fascismo alle porte e della fine della democrazia. La quale, per la verità, quando finisce, come la storia insegna, è in genere per la propria impotenza a prendere decisioni, anche gravi, ma comunque tali da salvaguardare la coesione sociale. Ecco: tutti fervorini sulla coesione sociale, compreso quello di uno stimatissimo presidente della Repubblica quale è Sergio Mattarella, finiscono per essere pannicelli caldi sull'emotività del momento ma rimangono privi di ogni spunto operativo per il legislatore e per chiunque abbia titolo di intervenire sul fenomeno dell'immigrazione.
     Negare, come si ostinano a fare da sinistra, che nessuno abbia le mani sul volante per quanto riguarda il controllo del fenomeno non è il modo migliore per cercare delle risposte. È lecito, per esempio, interrogarsi sulle motivazioni che spingono migliaia di persone a lasciare Paesi con tassi di crescita tre o quattro volte superiori al nostro per raggiungere le sponde italiane e andare incontro a condizioni di sfruttamento quando non di vera e propria schiavitù, e maturare sentimenti di rancore e di odio per il Paese che li accoglie?
     Dalla politica non sono venute risposte minimamente credibili. Si è pensato di risolvere il tutto con la legge Bossi-Fini e con la pretesa di costruire flussi di immigrazione sulla base delle esigenze delle imprese, come se fosse possibile controllare il fenomeno. Non è stato, né poteva essere così. I fenomeni di criminalità legata all'immigrazione si sono concentrati negli anni soprattutto nei piccoli centri, cioè nelle aree dove più flebile è la presenza dell'autorità dello Stato. E sono quelle specie criminose che più di altre suscitano allarme sociale: rapine in ville o in casa di anziani, con gli ospiti brutalmente pestati a sangue. Due anni fa, a Casal di Principe, una guerra fra una banda di nigeriani e criminali del luogo per il controllo del mercato della droga provocò diversi morti, il tutto forse nell'indifferenza, ma sicuramente nel terrore della popolazione.
     Si spiega così perché le reazioni più truci all'immigrazione vengano proprio dall'Italia profonda, cioè dai territori dove la solitudine e il senso di abbandono da parte dello Stato è vissuto come una sconfitta quotidiana dai cittadini. I fatti di Macerata sono in qualche misura l'8 settembre della politica. Il mantello retorico con cui i suoi esponenti si avvolgono per soffiare sul fuoco di quei fatti e appiccare altri e più vasti incendi, è pericoloso almeno quanto gli sforzi di chi, infilando la testa sotto la sabbia, minimizza la questione e punta l'indice contro il risorgente razzismo degli italiani e dell'altra parte politica. Se il timore, più che giustificato, è che quello di Macerata è soltanto un episodio di una catena destinata ad allungarsi, non resta che sperare in una rapida conclusione della campagna elettorale perché le forze politiche tornino a misurarsi con la dimensione concreta e reale  della questione. 

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