venerdì 16 febbraio 2018

DOPO IL 4 MARZO TUTTE LE VIE PORTANO AL QUIRINALE



di Massimo Colaiacomo


     Mai più governi di Große Koalition con Angela Merkel. L'ineffabile Martin Schulz lo ripeté per tutta l'estate del 2017, fino all'ultimo giorno di campagna elettorale. Si sa, poi, come è finita, o sta per finire, la vicenda tedesca. La Große Koalition si conferma l'unica soluzione possibile per la Germania. Quale lezione la politica italiana può ricavare dalla vicenda tedesca? Una, molto semplice: non esiste forza politica, a meno che non sia mossa da istinto suicida, che affronti una campagna elettorale dicendo che all'indomani del voto si alleerà con il suo principale avversario.
     È una lezione semplice, si può dire un precetto elementare di sopravvivenza per ogni partito di qualche peso elettorale. Non si spiega altrimenti la diffidenza di Salvini e Meloni verso Berlusconi, sospettato da sempre di prepararsi a un nuovo Nazareno. Sospetti non diversi nutrono le formazioni alla sinistra del PD sulle vere intenzioni di Renzi-Gentiloni. Sulla grande cappa di ipocrisia, o di pretattica elettorale, ha lanciato ieri un sasso il ministro dell'Interno, Marco Minniti, per dirsi pronto a  un governo di unità nazionale se tutto il PD dovesse accettare la formula.
     A spingere verso quello che sembra l'esito più scontato è la forza delle cose. Gli ultimi sondaggi non hanno registrato mutamenti apprezzabili nelle percentuali di consenso dei singoli partiti. Soprattutto, hanno confermato un dato incontrovertibile: il 5 marzo l'Italia si sveglierà senza una maggioranza chiara, ma con il governo Gentiloni pienamente in carica e non solo per il disbrigo degli affari correnti (Gentiloni non si è mai dimesso). Il governo "siede" in Parlamento, amava ricordare il grande costituzionalista Costantino Mortati, e l'esecutivo Gentiloni siede in un Parlamento senza una maggioranza e più frantumato di quello appena sciolto.
     Il ritorno al sistema proporzionale imboccato con il Rosatellum ha restituito una forte centralità al Quirinale. Dal 1994 in avanti, il Capo dello Stato era tornato, almeno nella formazione dei governi, nel suo ruolo di notaio e ratificatore della volontà elettorale che si esprimeva, con il sistema maggioritario, dando vita a maggioranze più o meno solide, ora di centrodestra ora di centrosinistra. L'arrivo dei Cinquestelle ha mandato in frantumi la fragile alternanza propiziata dal Mattarellum e la risposta del Parlamento, con l'approvazione del Rosatellum, è stato il tentativo estremo di arginare l'avanzata di Grillo. 
     Che cosa accadrà dopo il 4 marzo? Al netto delle profezie, è più semplice rispondere, appoggiandosi al buon senso, alla domanda su che cosa NON ACCADRÀ il 5 marzo. Ecco: dalle urne non uscirà una maggioranza. Il Capo dello Stato sarà arbitro scrupoloso rispetto ai giochi delle forze politiche ma dovrà assolvere all'imperativo categorico di assicurare un governo al Paese. La saggezza e l'equilibrio di Sergio Mattarella saranno messi a dura prova dalle richieste presumibili, insistenti e insistite, di nuove elezioni. Fortuna per l'Italia, Mattarella è un osso duro e prima di lanciare il Paese in una nuova ravvicinata competizione elettorale tenterà tutte le strade capaci di dare un governo stabile con una larga maggioranza.
     Come potrà vedere la luce una "grande coalizione" se PD e Forza Italia non avranno i numeri in Parlamento? Sono tante le variabili che entrano in gioco. Ad esempio: la Lega sarà tutta compatta nel "no" all'accordo con il PD oppure Roberto Maroni, non più candidato alla presidenza della Lombardia, farà sentire il suo peso? E Massimo D'Alema a chi si è rivolto qualche settimana fa quando ha ipotizzato la nascita di un governo del presidente? Maroni e D'Alema sono le due personalità da tener d'occhio, dopo il voto, più di tanti altri. Mattarella non potrà che assolvere al suo compito di "facilitatore" nella nascita di un governo.


     


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