lunedì 6 marzo 2017

PERCHÉ BERLUSCONI NON FARÀ ALLEANZE CON SALVINI E MELONI


di Massimo Colaiacomo

     È una luce corrusca quella che getta sul quadro politico il vice presidente della Camera, il grillino Luigi Di Maio. "Il partito che regge il governo è esploso, il suo alleato Verdini condannato a 9 anni di carcere, lo scandalo Consip è appena all'inizio, il Parlamento è immobile, non abbiamo ancora una legge elettorale omogenea per le due Camere, i poveri aumentano, le aziende chiudono o delocalizzano. La camomilla a un malato terminale fa lo stesso effetto di Gentiloni all'Italia di oggi. Cambiamo medicina subito. Al voto, al voto!". A parte le conclusioni, ovvie e scontate per un esponente grillino abituato a vibrare rasoiate con aria serafica, il resto della descrizione è una fotografia impietosa ma veritiera dello stato in cui versa l'Italia. Come dare torto a Di Maio? Il problema, per lui ma anche per tutti noi, è che una fotografia di ciò che nella realtà è non equivale ancora a ciò che occorre ed è indispensabile fare per cambiarla, possibilmente in meglio.
     La ricetta di Di Maio, come del mondo grillino, non è diversa da quella suggerita da tutte le altre opposizioni con l'eccezione, sempre più vistosa con il passare dei giorni, di Forza Italia: andare al voto, se possibile domani mattina. Con quale legge andarci, con quante possibilità di avere una maggioranza a urne chiuse, per prendere quali provvedimenti urgenti per arrestare la caduta verticale del Paese - sul piano sociale ed economico - rimane un mistero avvolto in un enigma. Sul leninista "che fare" si alza un uragano di voci, una Babele di ricette tutte fra loro in contrasto, tranne che su alcuni, decisivi e temibili punti: uscire dall'Europa e dall'euro (Salvini e Meloni), nonché dalla Nato (Grillo). L'idea di un'Italia che torna "a fare da sé" per risolvere problemi che non siamo riusciti a risolvere  in Europa è la prospettiva che disegnano i cosiddetti "sovranisti", cioè coloro che invocano il ritorno a una moneta italiana, la chiusura e protezione dei confini nazionali. È la reazione tipica di chi pretende di esorcizzare la realtà, brutta e complicata da decifrare e ancor più da accettare, indicando una fuga in avanti, anzi, nel caso specifico, all'indietro. È la tentazione ricorrente di quanti, nell'immediato dopoguerra, per criticare le difficoltà e la lentezza della ricostruzione, coniarono il luogo comune "si stava meglio quando si stava peggio". Perché, a ben vedere, Grillo, Meloni e Salvini sono, a vario titolo, i veri nostalgici della Prima Repubblica pur non avendone fatto parte per ovvie ragioni anagrafiche.
     Si diceva dell'eccezione di Forza Italia, voce sempre più flebile e dissonante nel coro del centrodestra "sovranista". Berlusconi ha reso noto che non voterà la mozione di sfiducia al ministro Lotti, non avendo mai accettato di votare la mozione di sfiducia individuale. Ma per la verità, negli ultimi giorni, ha detto altre cose non meno importanti: ad esempio, che considera infelice e avventurosa l'eventuale uscita dell'Italia dall'Europa e dall'euro. E già questa affermazione, da sola, dice quanto sarà difficile mettere in piedi una coalizione di centrodestra che vada oltre il cartello elettorale. A meno di clamorosi ripensamenti di Meloni e di Salvini, Berlusconi ha difatti annunciato che alle prossime elezioni sarà difficile per non dire impossibile che prenda forma una coalizione di centrodestra, tante e tanto diverse sono le visioni su euro ed Europa. Ma la responsabilità europeista di Berlusconi ha bisogno di essere corroborata da un meccanismo di voto che la metta al riparo dai ricatti elettorali dei suoi potenziali alleati e gli consenta di presentare le liste di Forza Italia. Difficilmente, infatti, potrà vedere la luce il listone unico di centrodestra, per di più recintato, come vorrebbe Meloni, da una clausola anti-inciucio, vera assurdità politica. Con una misura del genere la Germania starebbe senza governi dal 2005!
      La frantumazione del quadro politico suscita una crescente preoccupazione al Quirinale. Il presidente Mattarella, senza mai esorbitare dal ruolo, ha infittito i suoi richiami ormai quotidiani contro il clima rissoso della politica. Il timore di ritrovarsi all'indomani del voto in un quadro di ingovernabilità cronica è uno scenario cupo ma non più inverosimile. La rete di ricatti e di minacce in cui si svolge la lotta politica rischia di paralizzare la già affannosa funzionalità delle istituzioni. La legge elettorale può aiutare a costruire una via d'uscita, ma risolutiva sarà, come sempre in politica, la volontà dei leader di caricarsi sulle proprie spalle la responsabilità di governo. 
     
           

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