sabato 11 marzo 2017

IL VASCELLO DEL PD SI PERDE NELLE NEBBIE DEL LINGOTTO



di Massimo Colaiacomo

     Quando Renzi ha messo in cantiere la manifestazione del Lingotto, erano passate poche settimane dalla bruciante sconfitta del referendum. Quella che nei primi giorni sembrava una pesante battuta d'arresto da cui riprendersi, cominciava invece a configurarsi come la fine di una stagione politica dominata da una personalità forte, volitiva e anche un bel po' confusa. Nelle intenzioni del suo promotore, il Lingotto doveva perciò diventare, dopo la scissione e la convocazione delle primarie e del congresso, il sipario che si alzava di nuovo su un partito pronto a riconquistare la centralità perduta nel Paese.
     L'intervento dell'ex premier ha risposto molto parzialmente alle attese. Il cambiamento del lessico, con il tormentone del passaggio dall' "io" al "noi", o l'uso di figure retoriche rubate a Roosevelt e Orwell, sono espedienti nei quali Renzi ha rivelato in questi anni un'abilità talentuosa. Dietro le sue parole si fatica però a trovare un'idea forte attorno alla quale ricostruire l'identità del PD.  È certamente vero, e nel giusto, quando Renzi afferma che il PD rimane oggi l'unico argine delle istituzioni e la sola alternativa al "partito algoritmo" e al "partito azienda". Ma è pur sempre poco per restituire al partito quella centralità nella società che sembra, al momento, definitivamente perduta e, fatto inquietante, non sostituita da altri.
     La crisi del PD lascia un vuoto pericoloso nel Paese e nelle istituzioni. Le idee esposte ieri da Renzi, da una piattaforma web da chiamare Bob (Kennedy) da contrapporre idealmente alla piattaforma Rousseau dei Cinquestelle, o le ripetute invettive contro l'Europa dei burocrati, dicono che il leit motiv del renzismo non è cambiato: il PD continua a definire la propria identità in negativo, rispetto agli avversari, e non trova al suo interno le risorse politiche, e culturali, per darsi un profilo positivo e autonomo. Se ne ricava l'idea di un partito impegnato a inseguire e a scimmiottare l'avversario più temuto (Beppe Grillo) sperando così di frenarne la crescita elettorale ma finendo, in realtà, col riconoscergli centralità nella società italiana.
     Il vascello del PD si è perduto nelle nebbie del Lingotto. Gli osservatori sono lì a contabilizzare l'età media dei partecipanti, se le teste sono più o meno incanutite, se ci sono più giovani o meno tacchi a spillo, se il clima è più o meno sobrio che alle Leopolda degli anni precedenti. Mentre il governo, pezzo dopo pezzo, è impegnato a correggere, emendare o a riscrivere le riforme degli ultimi tre anni. Dopo il Jobs act, si prepara adesso una correzione della Buona scuola. E sull'Europa, tanto invisa a Renzi, il buon Gentiloni, spalleggiato da un presidente del Parlamento europeo sempre più attivo e con l'occhio rivolto all'Italia, invita tutti a tenercela stretta. Il vascello del PD ricorda oggi un altro vascello, quello del PCI, che Italo Calvino vedeva impantanato nella "Grande bonaccia delle Antille", immagine con la quale lo scrittore raffigurava il partito di Togliatti all'indomani dell'invasione dell'Ungheria (ottobre 1956). Il PCI non sapeva quale posizione prendere. Toccò poi al giovane Giorgio Napolitano, non ancora migliorista, far pendere il piatto della bilancia dalla parte dei sovietici "liberatori". Il rischio, oggi, è che la confusione di Renzi faccia crescere la propensione a vedere in Beppe Grillo il "liberatore" dell'Italia dalla cattiva politica. 

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