venerdì 13 gennaio 2017

EUROPA SENZA BUSSOLA, DIVISA E PARALIZZATA DI FRONTE A PUTIN

Anti-americanismo e filo-russismo dominano fra le forze anti-sistema, in Francia come in Italia. Perché manca un "sistema Europa"


di Massimo Colaiacomo

     Salvini e Grillo in Italia, Marine Le Pen in Francia e Frauke Petry in Germania, Pablo Iglesias in Spagna e Geert Wilders in Olanda, sono, per citare soltanto i maggiori, predicatori convinti ed entusiasti della fine dell'Unione europea e sanno, con la loro predicazione, di dare fiato a un sentimento molto diffuso nell'opinione pubblica del Continente. Capire come immaginano questa fine, e quale alternativa disegnano per l'Europa, dovrebbe essere compito primario per gli attuali ceti dirigenti desiderosi di mettere in campo i rimedi necessari per scongiurare che si realizzi tale disegno. Sempre che, è ovvio, esistano i rimedi e il tempo necessario. 
     Attribuire a Vladimir Putin o all'avvento di Donald Trump alla Casa Bianca la causa di queste spinte centrifughe, potenti più di quanto non rilevino le cronache quotidiane, è un'analisi superficiale. La malattia che corrode l'Europa è nata dentro l'Europa, e, purtroppo per noi, non c'è più il medico "americano" che corre al capezzale né si può immaginare che sia Vladimir Putin il sostituto. La strategia del leader russo non contempla alleanze, come è naturale per una potenza che la storia ha reso "naturalmente" imperiale, non foss'altro per la vastità del suo territorio. Diverso è il caso dell'America di Trump. La promessa agli elettori americani, che è insieme una minaccia ai cittadini e ai governi europei, di rivedere le relazioni interne alla Nato per chiedere all'Europa un maggiore concorso finanziario e militare nell'Alleanza, può essere l'annuncio di una rivoluzione nella strategia globale degli Stati Uniti. Distante dal suo alleato storico, per l'Europa diventa sempre più difficile contenere la vocazione naturale e istintiva del gigante russo a costruire una sfera d'influenza ai propri confini. E questo non è dovuto a un disegno malvagio di Putin, il quale è democratico come può esserlo un leader russo. Da Alessandro a Nicola I, da Stalin a Breznev, da Eltsin a Putin, la pressione, sovietica prima e russa oggi, sui confini europei è rimasta immutata, anche se diversi sono stati i mezzi per esercitarla.
     Quella di Vladimir Putin all'Europa è una sfida quasi obbligata. Una grande potenza come è la Russia si trova da 70 anni alle prese con un gruppo di Paesi che cercano una forma di unità politica senza esserci fino a oggi riusciti. 70 anni sono un "tempo lungo". La Russia ha ripreso il posto dell'Urss, il mondo ha conosciuto guerre e crisi epocali, la minaccia del terrorismo islamista si è annidata nella nostra vita quotidiana, ma l'Europa rimane un'opera incompiuta e, senza un atto di coraggio politico dei suoi leader, destinata a non essere mai realizzata. Vale però in politica la legge della fisica secondo cui non si dà un vuoto che non venga prima o poi riempito.
     Il "putinismo" avanza a grandi falcate in Europa, e trasmette scosse temibili perfino negli Stati Uniti, anche se fosse vera soltanto la metà delle cronache sulla cyberwar. Il veicolo della diffusione in Europa è il populismo: Grillo e Salvini sono i portavoce di Putin in Italia. Fallito il tentativo di entrare nel gruppo dei liberal-democratici nel Parlamento europeo, cioè in un gruppo storicamente filo euro, filoeuropeista e filoamericano, Grillo ha fatto un'inversione a U e annuncia adesso un referendum per l'uscita dell'Italia dalla Nato, pendant quasi perfetto al desengagement accarezzato da Trump. L'Europa balbetta e si divide sulle sanzioni alla Russia per la questione ucraina. In Francia, Marine Le Pen e perfino il moderato François Fillon fanno professione di amicizia con Putin, magari con un grado di entusiasmo inferiore a Matteo Salvini. Stiamo assistendo a un ribaltamento straordinario dell'atlante geo-politico che sta mandando a pezzi la speranza dell'unità politica europea. Ancora prima di insediarsi ufficialmente a Washington, si può dire che già da qualche settimana non esiste più "il mondo di ieri", cioè quell'alleanza fra le sponde dell'Atlantico su cui sono stati costruiti 70 anni di pace e di prosperità. 
     Che cosa può, e che cosa deve fare l'Europa o, più precisamente, il suo Paese leader che è la Germania? Può fare molto poco in una stagione elettorale che impegna i due Paesi maggiori, Francia e Germania. Ma dopo il voto, sul quale incombe la minaccia degli hacker del Cremlino, potrò fare ancora di meno. I movimenti populisti probabilmente non riusciranno ad eleggere Le Pen in Francia né a scalzare Angela Merkel dalla cancelleria, ma usciranno sicuramente rafforzati dalle urne. Viene da chiedersi, inoltre, che cosa potrà mai accadere sul piano sociale quando lo "scudo" di Mario Draghi verrà meno e l'euro tornerà una moneta vulnerabile, come vulnerabili torneranno i Paesi più indebitati come l'Italia. Se il tempo non scorrerà troppo velocemente, toccherà ad Angela Merkel, dopo la sua auspicabile riconferma, fermare le lancette e scuotere l'Europa dal torpore mortale.

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