mercoledì 25 gennaio 2017

DOPO LA CONSULTA, LA POLITICA NON HA PIÙ ALIBI


di Massimo Colaiacomo

     La carovana di leader e aspiranti da oggi può correre verso le urne in modo ancora più disordinato e con la quasi certezza di non avere una maggioranza una volta cause le urne. La sentenza della Corte costituzionale ha mutilato il senso politico dell'Italicum, amputandolo  di quel ballottaggio e ha consegnato una legge, auto-applicativa per evitare la vacanza del potere di scioglimento delle Camere conferito dalla Costituzione al Capo dello Stato, quasi beffarda nel suo meccanismo. Il premio di maggioranza rimane intatto, cosa che ha entusiasmato Matteo Renzi, ma esso può essere assegnato soltanto al partito - più esattamente alla lista - che supera il 40% nell'unico turno di voto.
     Beffarda perché nessuno dei partiti attualmente rappresentati in Parlamento è in grado sulla carta di raggiungere il 40% dei voti validi al primo turno. Il che significa che o si creano coalizioni, omogenee nei programmi e nella capacità di esprimere un ceto politico all'altezza, prima del voto oppure si dovranno costruire coalizioni dopo il voto. In ogni caso, il traguardo ambizioso per non dire velleitario di conoscere la sera stessa del voto chi governerà l'Italia è stato rinviato a data da destinarsi. 
     È un'altra sconfitta di Matteo Renzi, dopo la sentenza sul jobs act e, soprattutto, dopo la débâcle del referendum. Rimane intatta l'esigenza, più volte richiamata dal presidente della Repubblica, di uniformare la legge del Senato a quella della Camera, il che significa che lo stesso premio di maggioranza andrebbe previsto per l'Aula di palazzo Madama, sempre che a conseguirlo sia la stessa lista dell'altro ramo del Parlamento. La strada verso il voto si fa oggettivamente più impervia per i fautori delle urne qui e ora. Ma la clessidra è stata rovesciata per il fronte opposto, cioè di coloro che sostengono la necessità di uniformare i meccanismi di voto: non possono traccheggiare in modo sconclusionato perché una volta chiusa la finestra elettorale di giugno, sarà tutta loro la responsabilità di dare una legge elettorale pena la severa condanna degli elettori.
     Gli italiani sono meno sprovveduti di quanto li facciano Salvini e Meloni, e, per quanto imbufaliti con la politica, non sono ciechi abbastanza per consegnare a Grillo quel 40% che ne farebbe il padrone dell'Italia. Difficilmente l'onda politica di questa sentenza potrà sfiorare il governo Gentiloni che appare, a un primo esame, uscire rafforzato nei suoi presupposti. L'esecutivo è alle prese con emergenze straordinarie e se Gentiloni pensa a durare, come ha detto con candore domenica sera, ospite di Fabio Fazio, saranno i capigruppo d Camera e Senato a doversi caricare la responsabilità di trovare un'intesa sulla legge elettorale.
     Questa circostanza, normale in apparenza, rappresenta in realtà un ulteriore tassello nella strategia del governo per durare. Già in passato si è visto quanto sia difficile tenere separate convergenze su temi specifici e di interesse generale da un ampliamento di fatto della maggioranza che sostiene il governo. L'accusa di Salvini a Berlusconi di puntare a un "inciucio" è abbastanza ridicola, e, in prospettiva ribaltabile. Perché come ha ammesso Giorgia Meloni, ove dovesse mancare un vincitore chiaro, M5s potrebbe trovarsi costretto a governare con Lega e FdI. Qualcuno prima o poi spiegherà agli italiani perché quello di Berlusconi con il PD dovrebbe essere considerato un "inciucio" e invece una scelta saggia l'eventuale alleanza di Salvini e Meloni con Grillo.
     Vero è che la redazione di una nuova legge elettorale che non sia il Mattarellum è già di per sé foriera di un ribaltamento delle alleanze come sono state fin qui costruite. Scrivere una legge elettorale ha significato quasi sempre prefigurare alleanze possibili e opposizioni opposizioni irriducibili. Il copione dovrebbe ripetersi anche questa volta, ma fra i contraenti delle intese non ci sarà Matteo Renzi. È lui infatti l'unico leader costretto, forse ancora più di Grillo, a correre in solitudine dopo aver tagliato i ponti alla sua sinistra e messo in difficoltà i suoi alleati centristi fra i piedi dei quali ha gettato l'indigesto Mattarellum. Renzi è l'unico fra i leader politici ad avere bisogno del voto a giugno: ne va della sua stessa sopravvivenza politica. 

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