lunedì 18 aprile 2016

IL TIC DELL'ANTIRENZISMO, COSÌ A OTTOBRE NASCE IL PARTITO DELLA NAZIONE



di Massimo Colaiacomo


     L'esito scontato del referendum sulle trivelle ha gettato solo in parte nello scoramento il vasto, diviso e confuso fronte dell'antirenzismo. Il premier ha assistito alla partita dalla panchina e lasciato che fossero i suoi avversari a commettere tutti gli errori umanamente e politicamente possibili. L'antirenzismo ha tanti autori e ciascuno rivendica il primato sugli altri in un vociare concitato e confuso destinato a seminare sconcerto e irritazione nell'opinione pubblica. Il risultato referendario ha riportato le lancette della politica indietro di quasi un ventennio riproponendo lo schema di gioco tipico dell'epoca berlusconiana: di qua i "pro" di là i "cons". Un tic tipico di una politica ormai prosciugata di ragioni e di valori, ma priva soprattutto di strategie credibili e riconoscibili. Vedere insieme in una confusa armata antisviluppista Grillo, Cuperlo, Brunetta e Salvini deve aver suscitato negli elettori una sensazione come di capogiro.
     L'armata Brancaleone degli anti-renziani è il miglior propellente per la nascita del Partito della Nazione, un obiettivo che Renzi avrà considerato probabile, ma non esclusivo, per consolidare il potere personale e allargare l'orizzonte delle riforme. Ma se quel traguardo appare oggi meno remoto è anche grazie alla miopia dei suoi avversari. L'idea di costruire un Fronte unico dell'anti-renzismo diventa, di fatto, l'ammissione che a Renzi non esiste oggi un'alternativa credibile. Non ci sono leader, nel centrodestra, e non ce ne saranno ancora per molto tempo. L'unico sfidante in campo per Renzi rimane il candidato in pectore dei grillini, quel Luigi Di Maio divenuto, con la morte di Casaleggio, il motore propulsivo del movimento. Anche se i grillini, risucchiati nella campagna referendaria dell'anti-renzismo hanno visto gravemente appannarsi la loro carica innovativa.
     Quello che più colpisce, all'indomani del referendum, è l'accresciuta irrilevanza del centro-destra e la resa definitiva di Forza Italia alla deriva populista di Meloni e Salvini. Non basta certo lo scatto di reni di Silvio Berlusconi, che all'ultimo istante ha deciso di non andare a votare, per rimettere in piedi un'ombra di strategia politica. L'analfabetismo politico dei Brunetta e delle Santanché ha prodotto tutti i danni possibili in un partito già declinante per mille motivi.
     Significa allora che Matteo Renzi può dormire sonni tranquilli in vista del referendum costituzionale di ottobre? In parte, forse, è così. Renzi ha dalla sua la forza che sprigiona dalla logica binaria del referendum: sì-sì, no-no. E in un referendum confermativo, quale è quello costituzionale, il sì chiesto agli elettori è a un processo di riforma, condivisibile o meno, ma tale da smuovere quel Parlamento che la maggioranza degli italiani riteneva un pachiderma addormentato e costoso. Per sostenere con qualche successo le ragioni del "no" alla riforma costituzionale, grillini e centrodestra avrebbero dovuto elaborare una loro proposta di riforma organica, alternativa o integrativa di quella messa a punto da Renzi. Berlusconi ci ha provato, fino al fatidico febbraio 2015, con il Patto del Nazareno grazie al quale aveva ritrovato una fortunosa centralità politica. Una volta abbandonata quell'intesa, il tramonto politico, che sembrava temporaneamente arrestato, ha ripreso vigore e il Cav. si è ritrovato intruppato con Salvini, Grillo e Meloni in una melassa politica difficile da spiegare agli elettori. La frantumazione del fronte avversario è stato il primo, importante obiettivo raggiunto da Renzi, con l'aiuto degli errori commessi da altri. Il resto lo faranno gli elettori che a ottobre, diversamente da ieri, andranno in tanti alle urne per dire sì alle riforme. Con buona pace di Emiliano, Brunetta e Grillo. 

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