mercoledì 13 aprile 2016

IN MORTE DI CASALEGGIO, L'UOMO CHE RITENEVA LA DEMOCRAZIA UN OSSO DI SEPPIA



di Massimo Colaiacomo


     Nessuno che sia in buona fede si è lasciato incantare dall'ipocrisia untuosa del coro di condoglianze e di elogi post mortem rivolti a Gianroberto Casaleggio dai suoi avversari politici. Un "innovatore" è l'espressione più ricorrente usata, dal Capo dello Stato in giù, per descrivere le qualità di un uomo sicuramente di talento e di straordinaria intelligenza. Casaleggio ha intuito prima di altri il collasso dello sbilenco sistema bipolare e la crisi della rappresentanza parlamentare che esso trascinava. Le risposte da lui trovate sono state sicuramente innovative ma anche profondamente stravolgenti dell'unico concetto di democrazia conosciuto in Europa e nella civiltà occidentale.
     La Rete come luogo in cui si forma un'anonima volontà generale, espressa da un ristretto campione non si sa quanto rappresentativo, è diventata in poco tempo un feticcio per il quale si chiede un atto di totale sottomissione da parte degli iscritti, militanti ed eletti. Per il controllo sull'operato degli iscritti e dei parlamentari non esiste nessun organo perché ogni decisione, si tratti delle candidature o delle espulsioni dal movimento, delle proposte di legge o della strategia per la campagna elettorale, viene rimessa alla Casaleggio&Associati, cioè a una società di "strategie in Rete" di proprietà privata. 
     Casaleggio ha interpretato meglio di altri la crisi della rappresentanza democratica e con una velocità pari solo al cinismo dell'uomo ha saputo trovare le corde giuste per impoverire una democrazia già ampiamente svuotata dalla corruzione, dall'assalto di camarille e dagli appetiti familistici e criminali. Le forze politiche tradizionali, ridotte a a comitati d'affari, si sono arrese senza sparare un solo colpo. È stato un gioco per Casaleggio e Grillo spolpare il patrimonio elettorale di Forza Italia e costringere alla diaspora politica destra e sinistra, con la sola eccezione del PD renziano rimasto al centro della scena molto per la pochezza degli avversari e non si sa quanto per i meriti del premier.
     È la Rete, con entusiasmi fuori luogo paragonata a una moderna agorà, il verbo che Casaleggio ha saputo affermare contro le ironie dei suoi avversari subito spente di fronte ai clamorosi risultati elettorali. La Rete dei Cinquestelle decide sull'operato di un deputato, della sua candidabilità, della sua espulsione dal gruppo. La Rete decide chi è il più adeguato a essere candidato sindaco salvo scoprire, come è accaduto a Milano, che il trasferimento della comunicazione dalla rete alla TV impone anche un cinico ossequio ai canoni estetici. Casaleggio è stato un guru della fine della democrazia rappresentativa, della lotta politica condotta nei luoghi dove le persone in carne e ossa si guardano, si sfiorano, incrociano gli sguardi e si scambiano invettive. Nulla di tutto questo nella democrazia di Casaleggio ridotta a un osso di seppia.
     La sua intelligenza sulfurea ha spento un mondo ma ne acceso un altro in cui la circolazione delle idee è poco più di un orpello, la soluzione ai problemi è tutta in una corazza di legalità rispettata la quale il resto conta meno di niente. La filosofia di Casaleggio è anche, in qualche misura, il risultato di una politica che negli ultimi vent'anni  si è affidata non si sa più quante volte a governi "tecnici" (Ciampi, Dini, Amato, Monti, Letta), incapace a pronunciare parole di verità. Casaleggio ha trovato la più "tecnica" delle risposte alla crisi della politica: l'ha messa in Rete e scoperto così la nudità della politica. Come certi microrganismi, è salito sul corpo malato della politica e lì ha trovato il nutrimento elettorale alle sue intuizioni. La terra gli sarà lieve.   
             

Nessun commento:

Posta un commento