giovedì 7 aprile 2016

SI STRINGE L'ASSEDIO, RENZI PARLA SEMPRE PIÙ AL PAESE


di Massimo Colaiacomo


     Per una di quelle regole della politica mai codificate ma ben presenti a chi di politica vive, il premier Matteo Renzi sarà portato sempre più spesso, per ragioni alcune evidenti e altre meno, a "parlare" al Paese. Le ragioni palesi sono sotto gli occhi: fra due mesi si vota in molte grandi città e il premier farà la sua campagna elettorale in tutti quei Comuni a sostegno dei candidati sindaci del PD. Non potrebbe fare altrimenti, anche se in alcuni casi, valga per tutti il voto di Roma, Renzi è tentato di mettere una certa distanza fra il governo e l'esito elettorale. Rimane il fatto che un premier con una maggioranza sfilacciata in Parlamento e un partito indocile alla sua parola non può non cercare sollievo in un risultato elettorale che non sia troppo punitivo per i suoi candidati.
     Fra le ragioni meno evidenti che spingono Renzi a moltiplicare i suoi contatti in diretta con il Paese c'è soprattutto la necessità di scavalcare le strettoie parlamentari in cui si sta impantanando l'azione del governo. Gettare il cuore oltre l'ostacolo è un esercizio che gli è fin qui riuscito, anche con una certa agilità, ma una strategia tutta basata sugli strappi rischia di lasciarsi dietro non poche macerie nei rapporti parlamentari e di accentuare il malessere dentro il PD. Non è quest'ultimo però il punto che toglie il sonno al premier. Il polverone che oggi circonda il governo dopo l'ultima vicenda giudiziaria che portato alle dimissioni del ministro Guidi rischia di gonfiarsi oltre ogni ragionevole misura. La sollecitazione di Renzi ai magistrati perché facciano presto, e possibilmente bene, il loro lavoro risponde esattamente alla logica di chi teme un logoramento senza fine attorno all'azione dell'esecutivo.
     La vicenda Guidi, ma ancor più la nomina del suo successore, è destinata a pesare sui sondaggi già molto incerti sul voto amministrativo. Per Renzi è allora di vitale importanza riannodare i fili di una strategia che gli consenta di arrivare al fatidico mese di ottobre, quando si celebrerà il referendum confermativo sulla riforma costituzionale, senza portarsi dietro la zavorra di inciampi ed errori politici. Perché è da quel referendum che dipende la sopravvivenza di questo esecutivo. Renzi scarseggia di munizioni da qui ad allora, e l'assedio dei suoi avversari, rafforzato dalle prospettive opache in campo economico, si farà ogni giorno più stretto proprio per impedire l'arrivo al traguardo fatidico del referendum.
     Si comprende, allora, perché Renzi deve trovare nel Paese e in un dialogo sempre più stretto con l'opinione pubblica le risorse, non solo mediatiche per tenere insieme le tessere del mosaico. Entro la fine di maggio, la Commissione europea farà conoscere le sue valutazioni sul DEF e sul bilancio 2016. Difficile ipotizzare l'apertura di una procedure d'infrazione, ma altrettanto problematico sarà per i commissari dare un via libera senza riserve. C'è più di un punto interrogativo anche nella strategia degli assedianti. Che fare, per esempio, una volta costretto Renzi alla resa? Andare alle urne è la musica che suonano Grillo e Salvini. Ma si può chiedere al PD e a Forza Italia di votarsi a una sconfitta senza appello? Altra questione: come potranno saldarsi senza danni per il Cav, le strategie di Grillo e di Forza Italia? È pronto Berlusconi a bruciare quel che rimane del suo partito nel grande calderone del populismo anti-europeista dei Salvini e dei Grillo?
     Messo da parte Renzi, con quale maggioranza e con quale programma il suo successore potrà governare l'Italia? Non è una questione di lana caprina: dopo Berlusconi, il "tecnico" Monti arrivò a palazzo Chigi in un quadro di relativa stabilità delle forze politiche, ancora strutturate in modo organico e con leadership riconosciute e riconoscibili. Oggi il quadro politico è senz'altro più drammatico perché non ci sono leadership riconosciute. Né Salvini né Grillo hanno gli atouts per essere accettati sul piano europeo. Il rischio per l'Italia è di entrare in una condizione di rovinosa paralisi politica molto simile a quella spagnola. A Madrid è verosimile che saranno gli elettori, a giugno, a sciogliere i nodi che gli arruffapopolo non sono stati in grado di sciogliere in sette mesi di colloqui. Con grande soddisfazione di Mariano Rajoy.
     
     

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