lunedì 2 novembre 2015

LA "QUESTIONE ROMANA" CAMBIA IL CENTRODESTRA E AIUTA MARCHINI



di Massimo Colaiacomo

     La "questione romana" nel 2016 si pone come l'occasione, non si sa quanto casuale o quanto cercata da Silvio Berlusconi, per cambiare in profondità il centrodestra e fare quel passo indietro da molti sollecitato e mai continuamente accettato dal leader di Forza Italia. La "questione romana" venne brillantemente risolta, nel 1929, dal cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato vaticano, che firmò i Patti lateranensi con Benito Mussolini. Oggi un altro Gasparri, Maurizio, non potrà alzare ostacoli per risolvere una questione romana meno significativa per i rapporti con l'altra sponda del Tevere ma sicuramente rilevante per il profilo del centrodestra che verrà.
     Berlusconi ha giocato d'anticipo sugli alleati, e ha recitato anche la parte, così riferiscono le cronache, di chi teme di aver commesso un errore con l'endorsement ad Alfio Marchini. La verità è forse più semplice: in attesa di costruire un nuovo contenitore, che dovrebbe essere "l'Altra Italia" (un'espressione spadoliniana che suona un po' cacofonica pronunciata da Berlusconi), il leader di Forza Italia ha capito che deve cominciare con "l'Altra Roma" e continuare con "l'Altra Milano", poi "l'Altra Napoli" e via di questo passo.
     Non c'è un modo diverso o più semplice per ridisegnare il centrodestra e affrancarlo dalle pulsioni radicaleggianti di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. La candidatura di Alfio Marchini si presta perfettamente al progetto berlusconiano, vero o immaginario che sia, di non lasciare il centrodestra in balìa delle correnti estremiste. Tale progetto ha una qualche consistenza se nel tempo Berlusconi confermerà l'intenzione, ribadita in un'intervista a Bruno Vespa, di uscire di scena o almeno mettersi ai margini.
     Problemi dunque risolti? Tutt'altro. Le scelte di Berlusconi, a Roma come a Milano e altrove, mettono sul piede di guerra il vecchio ceto dirigente di Forza Italia ma anche chi in quel circolo è entrato in tempi recenti. Non a caso un ampio fronte, da Maurizio Gasparri  a Giovanni Toti, ha espresso il proprio malumore nei confronti del leader e contestato apertamente il suo endorsement per Marchini. Loro, e non solo, sarebbe i primi a pagare un prezzo in termini di potere personale a causa di un corso politico molto simile a un trasferimento di potere dalle mani di Berlusconi in quelle nuove e non compromesse di un personale politico già rodato sul piano amministrativo.
     È una partita temibile quella che il centrodestra si trova ad affrontare alle prossime amministrative. Anche se la affronta da condizioni meno disagiate rispetto al premier. Matteo Renzi, infatti, deve affrontare la battaglia di Roma mimetizzando il PD dietro figure tecniche, prefetti o commissari poco importa, azzerando di fatto la classe politica locale. Per Renzi è oggettivamente più complicato affidarsi a personalità, come si dice con tanta ipocrisia, della "società civile". Egli ha bisogno di personaggi autorevoli e quelli fin qui lasciati intravvedere provengono tutti o quasi da incarichi pubblici. A Roma è un tripudio di prefetti e di commissari, a Milano è il commissario di Expo, Sala, il candidato al momento più accreditato. La differenza non è coì irrilevante come sembra: Renzi deve militarizzare un partito locale che lui, ricambiato, non ama; Berlusconi deve invece mettere vino nuovo ma non in otri vecchi, come sarebbe Forza Italia.   

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