martedì 2 giugno 2015

RENZI NON È PIÙ SOLO AL COMANDO, CENTRODESTRA DECAPITATO

di Massimo Colaiacomo


     La sintesi migliore della confusione provocata dal voto regionale è il quadretto offerto dagli esponenti politici ospiti ieri sera del programma di Bruno Vespa. Tutti hanno rivendicato, con sfumature e perifrasi che nulla hanno da invidiare al torpore lessicale della prima Repubblica, di essere usciti "sostanzialmente" vincitori dalle urne o con "lievi flessioni" nei voti ma "con un più forte radicamento sul territorio". La pallida abbronzatura di Angelino Alfano non è evaporata di fronte al disastroso risultato elettorale del suo partito. Tutti hanno preso la fanfara per incamminarsi, ciascuno con il proprio partito, verso un nuovo traguardo politico più promettente di quello appena raggiunto.
     Pd e Forza Italia, insieme ai grillini, sono le forze uscite più bastonate dalle urne. Sconfitti, per ragioni diverse quanto si vuole, e duramente puniti dagli elettori. Forza Italia è addirittura collassata e la vittoria "fantascientifica" (definizione di Cacciari) acciuffata da Toti in Liguria è un rattoppo troppo piccolo per nascondere i consensi inghiottiti nel baratro della politica. Forza Italia non è più, né Silvio Berlusconi potrà essere più il federatore di alcunché. Il leader leghista Matteo Salvini scalpita, appena con un filo di diplomazia, per mettere le mani sul volante di un centrodestra privo di una direzionalità che non sia quella della Lega.
     Il vuoto in cui annaspa il centrodestra è soprattutto culturale, prima ancora che politico. Tramontata per sempre la stella elettorale di Berlusconi che tutto illuminava, e riempiva di consensi i forzieri del partito, Forza Italia è diventato davvero quel partito di plastica immaginato dai suoi avversari agli esordi. Oggi nessun esponente del centrodestra, sia Salvini o un altro, è in grado di delineare un'idea di società e di Nazione e di immaginare la cornice europea e mondiale in cui collocare quell'idea. Salvini è molto bravo a solleticare e assecondare le paure degli elettori, ma per governare bisogna saper trovare una risposta a quelle paure e Salvini non ne ha trovata una sola. 
     Il Pd costruito a immagine e somiglianza di Renzi è finito in un fortunale. Il premier ha rilanciato la sfida e promette, dopo la débâcle elettorale, di mettere mano al partito e applicare l'antico principio: dentro dentro, fuori fuori. Il pugno di ferro non partorirà il risultato sperato da Renzi perché "fuori" dal Pd la minoranza dovrebbe necessariamente mettersi di traverso sulle riforme costituzionali in Senato. Dove Renzi continua a confidare sull'aiuto di un nutrito drappello di senatori forzasti pronti a mollare gli ormeggi. Una diaspora di Forza Italia non sarebbe sgradita allo stesso Salvini, che sarebbe così agevolato nel suoi propositi di annessione di quel che resta di FI.
     A giudicare dalle prime reazioni al voto, non sembra che dentro Forza Italia abbiano ben chiaro quel che è accaduto. Il corteggiamento a Salvini con la profferta di essere il socio di maggioranza nella nuova alleanza è soltanto l'ultimo abbaglio di Berlusconi. Non aver capito che Salvini è il principale avversario da combattere senza tregua porterà FI all'estinzione. Sempre che qualcuno dei big più presunti che reali non decida di muoversi e dare una scossa al partito. 

     

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