sabato 10 ottobre 2015

SE IL CENTRODESTRA SPARISCE ... PUÒ VINCERE A ROMA


di Massimo Colaiacomo

     Salvini e Berlusconi erano già ai ferri corti sulle alleanze per le prossime amministrative, la vicenda di Roma è diventata così altra benzina sul fuoco che sta bruciando il centrodestra. Al netto dei sondaggi (l'ultimo, della Swg, accredita la Lega di consensi oscillanti fra il 17 e il 20% mentre Forza Italia sarebbe pericolosamente intorno al 10%), Salvini e Berlusconi, e Meloni con loro, hanno esigenze tattiche troppo diverse per sintonizzarsi su una strategia comune. Proviamo a vedere un po' più da vicino.
     Berlusconi ha un bisogno disperato di vincere a Roma (ancor più a Milano, è ovvio) con un candidato che sia percepito come una sua emanazione, se non diretta almeno a lui riconducibile. Assediato da un declino lento e irreversibile, e perciò più crudele, l'ex Cavaliere punta sulla roulette della politica le fiches della sua disperazione: o Roma o morte, 80 anni dopo, torna una parola d'ordine attuale per Berlusconi (al netto del sarcasmo flaianeo, il Cav. potrebbe anche decidere: o Roma o Orte). Il leader di Forza Italia si sa come la pensa, rincorre, forse senza neppure crederci, il mito di un candidato preso dalla "società civile" (si spera che un giorno venga arrestato chiunque pronunci questa locuzione) ma battezzato da lui e quindi riconducibile a Forza Italia.
     Esattamente quello che Matteo Salvini  non può accettare. Per lui la partita di Roma è per certi versi più semplice. Salvini sa di non poter mettere un suo candidato senza scontare la sconfitta in partenza. Il suo obiettivo, di fatto, è già stato raggiunto: trasformare quelle intenzioni di voto, anche solo per il 70%, in voti veri significa per Salvini essere consacrato in un ruolo nazionale. Meglio ancora se il 14 o il 16% di voti viene raccolto dalla Lega all'interno di un centrodestra pesantemente sconfitto nella corsa per il Campidoglio.
     Si tratta, come si vede, di due obiettivi che più divergenti non potrebbero essere. La crescita leghista, con la conquista definitiva della leadership nel centrodestra, presuppone un candidato sindaco votato a una onorevole sconfitta. La resurrezione di Forza Italia, o, più correttamente, il prolungamento della sua agonia presuppone invece una vittoria del candidato di centrodestra che consenta a Berlusconi di essere l'intestatario principale.
     In entrambi i casi, Alfio Marchini potrebbe essere il candidato meno adatto tanto per Salvini quanto per Berlusconi. Dotato di una sua autonoma e spiccata personalità, con trascorsi politici nel centrosinistra prima di intestarsi una coraggiosa battaglia in solitudine contro Ignazio Marino, Marchini è il candidato meglio attrezzato per sintonizzarsi con l'elettorato romano e il meno governabile dalla nomenklatura di centrodestra. Quindi, il più insidioso, in caso di vittoria, perché meno permeabile di altri per farsi tutore di interessi più o meno legittimi ma comunque estranei agli interessi generali.
     Marchini può incarnare il ruolo di tutore degli "interessi generali" (espressione cara a Ugo La Malfa) avendo messo da parte i propri e non avendo mai fatto parte di nomenclature politiche. La sua sarebbe una candidatura "civica", a bassa intensità politica ma non per questo neutra. Ha più volte ribadito il suo orientamento liberale in economia e nella gestione della cosa pubblica, il suo conservatorismo (espressione nobile e benedetta nella cultura politica europea ed anglosassone in particolare, ma ostracizzata nel deserto politico italiano) nel campo dei valori, e la sua indisponibilità ad accomodamenti che non siano più che leciti. È vero allora che un centrodestra agonizzante (più nei suoi dirigenti che nel proprio elettorato) non può affidare a un personaggio simile la propria resurrezione. Non è meno vero, però, che un personaggio come Marchini possa affidare le proprie fortune, e quelle di Roma, a un manipolo di vecchi politici condannati dai loro fallimenti.
     La candidatura di Alfio Marchini al Campidoglio, e la sua possibile vittoria, segnerebbero la fine del centrodestra come l'abbiamo conosciuto ma, paradossalmente, segnerebbe anche la nascita di un centrodestra meno sbracato nei valori e più vicino agli standard di civiltà politica europea. 

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