lunedì 24 agosto 2015

BERLUSCONI SMOBILITA, LA CORTE SI AGGRAPPA ALLE PRIMARIE



di Massimo Colaiacomo


     È una drôle de guerre quella in svolgimento dentro Forza Italia. Il portavoce Giovanni Toti smentito dal leader, non è affare di tutti i giorni, ma se Silvio Berlusconi ha deciso di interrompere il silenzio agostano per negare anche solo l'ipotesi di tenere le primarie, è il sintomo che anche il capo ha perso il bandolo. Berlusconi vede ribollire le anime di quello che è stato il più grande partito di centrodestra nel dopoguerra e si avvia mestamente al ruolo di comprimario del nuovo leader Matteo Salvini.
     Nessuno si è stupito della replica puntuta di Berlusconi. Piuttosto qualche stupore ha suscitato la nota di Giovanni Toti. La sua prudente apertura alle primarie, motivata con le delibere prese dal Consiglio nazionale nel 2014, ha dato voce al malessere che sta divorando i berlusconiani fedeli tentati di passare dalla fedeltà alla lealtà, cioè dall'obbedienza cieca a un rapporto dialettico. Avvertono tutti che il terreno sta franando sotto i loro piedi e le elezioni amministrative sono lì, a un soffio da oggi, con tutte le paure che suscita l'aggressività di una Lega pronta a fare cappotto nelle grandi città.
     Per divincolarsi dall'abbraccio mortale di Matteo Salvini, Toti e compagni avrebbero bisogno di un partito appena in grado di respirare per negoziare le condizioni minime di un'alleanza che non sia troppo simile a una resa. Ma come può Berlusconi accettare le primarie, con tutti i loro limiti, senza con ciò iniettare in Forza Italia il "virus" della democrazia? Berlusconi non può cedere il comando assoluto del partito, neppure può accettare un'attenuazione dei suoi poteri o un loro ridimensionamento. Le primarie, invece, porterebbero questi e altri rischi. Accettarle vorrebbe per Berlusconi privarsi del potere dell'ultima parola per cederlo ai vari cacicchi locali forti delle loro vagonate di tessere e di clientele.
     Anche per Berlusconi, però, si pone il problema di come tenere unito quel che resta di Forza Italia dopo ben tre scissioni. Appannato per sempre il potere carismatico, non basta dire no alle primarie perché manipolabili e dunque inquinabili per tenere insieme gli elettori. Berlusconi ha un'alternativa, una sola, per dare forza e credibilità al suo rifiuto: rendere eleggibili dagli iscritti tutte le cariche del partito. Il che, è ovvio, suonerebbe come una bestemmia nella visione egotistica di Berlusconi. Tanto le primarie quanto l'eleggibilità delle cariche di partito hanno un grave difetto agli occhi di Berlusconi: introducono il tarlo della democrazia in un partito nato attorno a una persona. Il che conferma la tesi di Giuliano Ferrara, cioè Forza Italia, e dunque i suoi parlamentari, deputati e senatori, consiglieri regionali e di quartiere, non esiste perché esiste soltanto Silvio Berlusconi. Quello che chiamiamo partito altro non è dunque se non la proiezione di una persona e della sua volontà in ogni cellula del corpo, dal centro all'estrema periferia d'Italia.
     Si spiega così il bisogno vitale di Berlusconi di rimanere al centro della piccola galassia chiamata Forza Italia. Certo, è dura scivolare dal centro del sistema Paese al centro dell'opposizione per finire al centro di Villa Certosa e dintorni. Ma perdere il potere di trattare direttamente con Salvini, come ieri trattava personalmente con Renzi, sia pure per l'interposta persona di Denis Verdini, sarebbe per Berlusconi un colpo mortale. E non è detto che sarebbe un "colpo vitale" per i cortigiani privi come sono di bussola per muoversi nell'arcipelago frastagliassimo delle opposizioni.
     Con o senza il suo creatore, Forza Italia non può trascinarsi ancora a lungo nella sua condizione agonica. Prima implode e prima potrà farsi avanti colui che ritiene di avere più filo per tessere una nuova trama politica capace di restituire visibilità e dignità politica al centrodestra. 
     
     

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