venerdì 3 aprile 2015

FORZA ITALIA GUARDA IL FUTURO DAL RETROVISORE

di Massimo Colaiacomo

Le convulsioni che scuotono alle fondamenta Forza Italia non sono destinate a placarsi con le elezioni regionali. Tutt'altro. Al di là del loro possibile esito, è la fibra stessa del partito che è stata consumata in questi ultimi mesi. Si può ragionevolmente affermare che il braccio di ferro di Raffaele Fitto ha allargato divisioni preesistenti, ma un partito falcidiato da abbandoni (Bondi è solo l'ultimo), contestazioni sulla gestione (Fitto e, con motivazioni diverse, Romani) o sulla linea politica (Verdini) deve avere trascurato troppo a lungo i suoi problemi interni se questi esplodono tutti insieme e in modo tanto lacerante.
Può sembrare un paradosso, ma la fine del Patto del Nazareno è stata un po' come togliere il tappo al vaso di Pandora. Tutto il malcontento e i risentimenti di tipo personale (a parte quelli, tutti politici, di Fitto e Verdini) sono venuti fuori e hanno scatenato liti intestine da basso impero rivelando quello che si intuiva dall'esterno, cioè la pochezza intellettuale e politica di un ceto dirigente raccogliticcio, salvo poche eccezioni. L'appello accorato, con toni quasi disperati, lanciato da Berlusconi ad alcuni ospiti che lo hanno raggiunto oggi ad Arcore affinché Forza Italia ritrovi le ragioni dell'unità e della concordia ha il sapore dell'estremo saluto di un capitano a una ciurma ribelle e riottosa, divisa su tutto e preoccupata soltanto di portare in salvo se stessa dopo il fortunale che si preannuncia con il voto regionale di fine maggio. 
Quanto accade nella corte di Arcore è spiegato in un'ampia e antica letteratura. La fine di una lunga stagione politica, costruita da un leader il cui skill comunicativo non ha eguali (Renzi lo imita ma non lo raggiunge minimamente), porta con sé il declino di una classe dirigente: declino la cui velocita è inversamente proporzionale alla qualità di quella classe. Il che lascia presupporre, all'indomani di un risultato alle regionali eventualmente negativo, il collasso finale di Forza Italia.
Ora non è di grande aiuto chiedersi se e in che misura Berlusconi abbia consapevolmente assecondato il cupio dissolvi di Forza Italia. La lunga persecuzione giudiziaria ne ha certamente infiacchito la fibra e alimentato il distacco, e forse il disgusto, per la politica e le sue beghe. Questo spiegherebbe certe sue scelte per la gestione del partito affidata a esecutori grigi e improvvisati. Berlusconi ha "svuotato" Forza Italia di ogni ambizione politica nel momento stesso in cui ha abbandonato il Patto del Nazareno senza avere pronta un'alternativa credibile, una strategia all'altezza della sfida a Renzi per la quale non era minimamente pronto.
Vero è che dopo tre anni di melina con i governi tecnici di Monti e di Letta, e la linea di concordia isitituzionale con Renzi, Berlusconi aveva aperto ampi spazi alla sua destra al punto che la Lega di Salvini si prepara a un soprasso elettorale impensabile qualche tempo fa. Ma per fare l'opposizione invocata da Raffaele Fitto (il quale, va ricordato, ha sempre avallato le precedenti scelte sugli altri governi tecnici) Forza Italia avrbebe dovuto esprimere una linea politica chiara e convincente, degna di un grande partito conservatore europeo. Il guaio maggiore combinato da Berlusconi è stato proprio questo, di aver lasciato campo libero al populismo leghista grazie al quale Renzi può godere di una polizza assicurativa sul suo governo nonostante gli insuccessi via via crescenti della politica economica.
Il vuoto che si apre nel centrodestra italiano diventerà presto il primo e più importante problema per la funzionalità della democrazia. Non resta che affidarsi alle leggi della fisica per cui prima o poi anche questo vuoto sarà riempito.    

 

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