martedì 26 agosto 2014

RENZI E L'ITALIA PIÙ SOLI IN EUROPA

di Massimo Colaiacomo

Ha giustamente osservato Antonio Polito sul Corriere della Sera di oggi che chiunque sia al governo in Francia "Parigi non guiderà mai un fronte di opposizione alla Germania". Il riferimento è alla grave crisi di governo che ha portato alla sostituzione del ministro dell'Economia, fiero avversario dell'austerità made in Germany. Quasi nelle stesse ore del licenziamento di Montebourg, Angela Merkel, ospite di Mariano Rajoy a Santiago de Compostela, sua città natale, accoglieva con entusiasmo la candidatura del ministro del'Economia spagnolo, De Guindos, quale successore dell'olandese Dissjelbom nel ruolo di presidente dell'Eurogruppo.
Che cosa è accaduto fra Parigi e Santiago de Compostela? Una cosa molto semplice: Francia e Spagna sono allineate con Berlino sulla politica di austerità fiscale. Rajoy ha già fatto i compiti, Hollande si prepara a farli con provvedimenti economici ancora da definire ma sulla cui incisività, dopo il licenziamento del riottoso Montebourg, non è lecito dubitare. L'Italia di Matteo Renzi da ieri è più sola nell'Europa politica. Renzi non ha cambiato verso all'Europa, come aveva più volte anunciato, non si sa se con più presunzione o più ingenuità, e ora è l'Europa che si prepara a cambiare verso all'Italia. Il legame più forte, ma anche più condizionante, rimane quello con il governatore della Bce. L'idea bislacca di Romano Prodi e, a quanto pare, di Silvio Berlusconi, frutto della furbizia levantina dei due personaggi, di costituire un asse mediterraneo per arginare la politica fiscale di Berlino è fallita miseramente. Pochi si erano accorti che a giugno, al vertice dell'Eurogruppo, la Spagna aveva opposto un netto rifiuto alla richiesta italiana di rinviare al 2016 il pareggio di bilancio.
Rajoy ha fatto digerire due anni di austerity fiscale agli spagnoli, ha risanato i conti grazie alla moratoria concessa dall'Europa ma ripagata da Rajoy con riforme coraggiose, soprattutto nel mercato del lavoro ma anche con licenziamenti nella pubblica amministrazione e un taglio degli stipendi nel pubblico impiego. Soltanto un ingenuo - e Prodi e Berlusconi non lo sono - poteva immaginare che Rajoy potesse concedere a Renzi quel che lui si era dovuto guadagnare sfidando le piazze piene di indignados.
Il ceto politico italiano è inguaribilmente votato al populismo. Quando Draghi aveva accennato, prima di Ferragosto, alla necessità di cedere "quote di sovranità nazionale" all'Europa, e dunque alla Commissione e alla Bce, per fare le riforme struturali a chi altri se non all'Italia correva il suo pensiero?
L'ipocrisia è la leva a cui si aggrappa il ceto politico italiano per esorcizzare gli scenari più cupi. Non è forse ipcrita la destra che si straccia le vesti quando viene evocata la costituzioe di un Redemption Fund per l'Italia in cui far confluire gli asset più importanti dello Stato per alleggerire il debito pubblico? Bene, nessuno vuole svendere lo Stato, ma il governo che cosa aspetta allora a prendere le misure drastiche per raddrizzare la rotta del Paese? Invece di girare attorno all'art. 18 e strepitare contro la discussione ideologica e il totem e i tabù, perché Renzi, come fece Schröder nell'agosto 2003, non riunisce il Consiglio dei ministri e dichiara unilateralmente decaduto l'art. 18 delo Statuto dei lavoratori anziché aggirare l'ostacolo e allungare i tempi in attesa di una riscrittura dello Statuto?
L'Italia è da oggi più sola in Europa, il Pd è più isolato nella famiglia dei socialisti e Forza Italia è addirittura in quarantena dentro il Ppe. L'Italia è sicuramente un grande Paese, come ama ripetere Renzi, ma il suo problema è il ceto politico composto da personalità unfit, si chiami il premier Berlusconi o Renzi.

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