martedì 12 agosto 2014

AUTUNNO DI SCELTE PER EVITARE L'AUTUNNO DEL GOVERNO

di Massimo Colaiacomo

Matteo Renzi può concedersi una breve pausa estiva e godersi la soddisfazione della riforma del Senato. Ha messo a segno, è innegabile, un punto importante nella sua strategia del cambiamento. Un punto che lo rafforza dentro la maggioranza parlamentare e che rende agevole gli altri passaggi della riforma prima che questa diventi norma costituzionale. Questo, però, è un percorso, per così dire, che disegna l'Italia che verrà per le nuove generazioni. Alla ripresa autunnale Renzi dovrà mettere la testa sulle difficoltà presenti di un quadro economico periclitante sul quale si addensano nuvoloni carichi di pioggia. L'outlook di Moody's che prevede un 2014 con il segno meno del Pil è un campanello d'allarme da non sottovalutare ma neppure da enfatizzare come qualche oppositore ha fatto.
Le difficoltà strutturali dell'economia italiana sono oggi le stesse di tre o cinque anni fa: le mancate riforme del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione sono la zavorra che rende difficoltosa qualsiasi ripresa economica. La riforma delle pensioni di Elsa Fornero, tanto vituperata a suo tempo, è stato quasi svuotata dalle 6 deroghe di questi ultimi due anni. Renzi dovrà dissodare un terreno accidentato e reso sterile dai veti politici e corporativi. La riforma della P.A. licenziata dalla Camera è uno strumento ridicolo. L'idea di rottamare i dirigenti derogando alla legge Fornero e quindi con pensionamenti anticipati, è semplicemente folle. Si sposta in questo modo il debito dallo Stato all'Inps, per poi accrescerlo assumendo 15 mila giovani.
Una frase è sfuggita a Renzi qualche giorno fa, in un colloquio con La Stampa. "Lo Stato non crea lavoro - ha detto - ma deve crare le condizioni migliori perché le imprese possano crescere e dare lavoro". Una frase quasi simile fu la risposta che Alcide De Gasperi diede, nel gennaio 1953, all'allora ministro dell'Agricoltura Amintore Fanfani il quale si era recato da lui per perorare un aumento delle tasse e la creazione di posti di lavoro da parte dello Stato.
Quella frase pronunciata da Renzi lascerebbe pensare a un aggiustamento di rotta, se non di strategia, da parte dell'esecutivo. Certo, Renzi deve far di conto con una parte della sua maggioranza che, al contrario, pensa ancora allo Stato come datore di lavoro per chi un lavoro non ce l'ha. A parte poi l'affermazione di principio, si tratterà di vedere come Renzi affronterà in concreto il tema del lavoro. Il jobs act è stato congelato alla Camera e trattandosi di un ddl delega ha tempi di attuazione piuttosto lunghi e incompatibili con le urgenze della questione.
Renzi deve cercare un altro percorso, più veloce per essere al passo con i problemi. Anticipare parte dei contenuti del jobs act con il ricorso al decreto legge potrebbe creare tensioni nella maggioranza, soprattutto se Ncd dovesse insistere sull'abolizione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Ignorare questa richiesta da parte di Renzi verrebbe interpretato come un segno di ostilità da parte di Alfano ma, nello stesso tempo, impedirebbe il soccorso di Forza Italia all'esecutivo essendo Berlusconi dello stesso avviso di Alfano.

C'è poi il capitolo dei tagli alla spesa pubblica. Ancora non si vede neppure l'ombra dei 4 miliardi di risparmi ipotizzati dal commissario Carlo Cottarelli. Risparmi che dovrebbero salire a 15 nel 2015 e addirittura a 32 miliardi nel 2017. Si tratta di interventi molto profondi nella struttura della spesa per realizzare i quali Renzi deve poter contare su una maggioranza parlamentare molto coesa. Ogni incertezza su questo versante verrebbe seriamente punita dai mercati con riflessi onerosi per il debito pubblico. Come si vede, a mano a mano che ci si inoltra nel cammino autunnale si apre per Renzi la questione della "tenuta" politica della sua maggioranza. Su questo varco lo aspettano Berlusconi e Forza Italia. L'ex Cav. manda segnali in direzione dell'esecutivo, ma non più di tanto. La coesione dei gruppi parlamentari non è uscita incrinata più di tanto al Senato e Berlusconi non ha fretta: può guardare gli sviluppi della situazione e decidere con tutta calma. Renzi e Berlusconi sono divisi su un punto strategico rilevante: Renzi vuole raggiungere i suoi obiettivi senza sforare il 3% nel rapporto deficit-Pil; Berlusconi mantiene intatta la sua sfida all'Europa e sostiene, con Giavazzi e Alesina, la necessità di sforare temporaneamente quella soglia per avviare le riforme radicali necessarie all'Italia. La fedeltà renziana ai parametri di Maastricht non è un eccesso di zelo, ma un espediente per attenuare l'impatto delle riforme che Mario Draghi, invece, vuole incisive e radicali. Per un paradosso del caso, quindi, è Berlusconi a farsi più europeista di Renzi.

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