sabato 29 giugno 2019

L'ITALIA BRANCOLA NEL BUIO SENZA UNA POLITICA "CENTRISTA"

Da Calenda a Carfagna e Toti, la confusione è grande: non si costruisce un partito "di centro" per concessione di qualcuno, neppure avrebbe senso un partito che nasce per allearsi a uno schieramento escludendo a priori ogni altra alleanza. La nascita di un partito moderato, liberale, di ispirazione cristiana costa fatica e tempo. E presuppone la ricostituzione di una tavola di valori e di un programma chiaramente riconoscibili e nettamente distinti da destra e sinistra


di Massimo Colaiacomo


     Angelo Panebianco ha spesso affrontato il tema del "grande vuoto" nella politica italiana, per riferirsi all'assenza ormai decennale di una politica "centrista" in grado di rappresentare e declinare sul piano legislativo gli interessi di quel vasto spettro sociale un tempo noto come "classe media", un ceto via via marginalizzato sul mercato del consenso politico. Non c'è molto da aggiungere alle analisi fin qui fatte e che individuano nella caduta delle protezioni sociali, conseguente a una globalizzazione ridotta a pura dimensione finanziaria, e nella relativizzazione dei valori sociali e dell'etica pubblica le cause principali della deriva politica e sociale che ha colpito l'Italia.
     È evidente come rispetto all'Europa, gli esiti della crisi finanziaria del 2008-2009 hanno avuto in Italia conseguenze molto peculiari o più radicali rispetto ad altri Paesi. È vero, il populismo sovranista si è affermato nei Paesi un tempo comunisti dell'Est Europa, ma le caratteristiche dei governi di Viktor Orban in Ungheria o di Andrej Babis nella Repubblica Ceca solo in minima parte sono sovrapponibili con quelle del governo Salvini-Di Maio. Diverse sono le storie nazionali e il rigurgito nazionalista in quella parte d'Europa dopo mezzo secolo di dominio comunista sovietico sono una reazione quasi naturale. Nessuno di loro è sfiorato dall'idea di uscire dall'Europa da cui lucrano rigogliosi aiuti finanziari. Le politiche di bilancio a Budapest o a Praga sono naturalmente rigoriste, così come sono rigide e ingenerose le loro politiche sociali.
     Il nazional-populismo italiano ha un retroterra del tutto diverso. Esso si è affermato come reazione alla predicazione decennale, ieri di Matteo Renzi, l'altro ieri di Silvio Berlusconi, che denunciava nell'Europa e nei parametri "stupidi" di Maastricht (copyright Romano Prodi) la causa unica ed esclusiva delle difficoltà italiane. Con l'aggiunta, tutta grillina, della corruzione endemica degli apparati pubblici italiani. Come dovrebbe orientarsi una forza "centrista", e quindi storicamente e culturalmente europeista, in un panorama dove dell'Europa restano soltanto le macerie?
     Come, per stare a fatti concreti, una forza di centro e cristianamente ispirata può rielaborare politiche di solidarietà sociale senza utilizzare solo la leva fiscale, ormai inutilizzabile? Attraverso la riaffermazione del principio di sussidiarietà, si diceva fino a qualche tempo fa. Ma questo principio, che vede nella responsabilità della persona il primo motore della vita sociale, non può davvero agire e fermentare senza un sostanziale alleggerimento della pressione fiscale. Meno tasse e dunque un uso piò oculato dei servizi sociali, collettivi o individuali, che vanno erogati gratuitamente a tutti i cittadini disoccupati. Dove non riesce con le proprie forze il cittadino, arriva il Comune e via via fino all'inter vento dello Stato. Ma perché questa "catena della solidarietà" funzioni davvero e non sia inutilmente onerosa per il contribuente è altresì necessario immaginarla dotata di una burocrazia ridotta al minimo e priva di ogni potere di controllo ex ante.
     Una forza genuinamente centrista ed europeista guarda al futuro europeo dell'Italia ma volge anche lo sguardo indietro per indagare sulle radici di un debito pubblico che ha ipotecato la vita delle prossime generazioni. Quelle radici sono tutte ed esclusivamente italiane, e nulla hanno a che vedere con l'Europa o con il Trattato di Maastricht. La vocazione populista del ceto politico italiani è molto più antica della stagione berlusconiana e di quella più recente di Renzi. Essa affonda nella DC post-degasperiana perché quello di De Gasperi era un partito saldamente ancorato alla visione liberale dominante nei Partiti popolari europei, e in quello tedesco in particolare.
     Lo spazio per una simile forza politica è oggi occupato abusivamente da chi si è appropriato di un'identità non sua, magari sfruttando abilmente slogan e parole d'ordine che evocano una visione semplificata della realtà. Il successo di Salvini e anche di Di Maio è stato reso possibile dall'abilità mostrata nel semplificare la complessità della realtà. I problemi esplodono però quando con la stessa semplificazione si vorrebbe legiferare. In tal caso, la realtà complessa non entra nella camicia di forza del populismo.  






1 commento:

  1. Grazie, per il tuo post, caro Colaiacomo. A me sembra che hai ragione nel sottolineare la sussidiarietà. Altrimenti la società si impoverisce antropologicamente. Le persone perdono creatività e libertà.
    Ho apprezzato il confronto con nazioni uscite dal comunismo. Vorrei aggiungere che la ministro ungherese per la famiglia sembra stia favorendo un punto che da tempo nel nostro paese mi pare disatteso. Grazie.

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