lunedì 8 maggio 2017

QUALE LEZIONE PUÒ VENIRE DAL VOTO FRANCESE

La vittoria di Macron è importante per l'Europa. La sua affermazione è resa più significativa dalla decisione di Le Pen di rifondare il Front National


di Massimo Colaiacomo


     Le bandiere dell'Europa che sventolano sulla spianata del Louvre e l'Inno ufficiale dell'Unione europea che accoglie il discorso di Emanuel Macron sono una scenografia impensabile fino a qualche tempo fa nel piatto nazionalista dei Paesi europei. È già in questi simboli che si consuma la prima rupture di Macron rispetto alla Francia tradizionale. Ha impostato, e vinto, una campagna elettorale giocata sull'antinomia Europa sì-Europa no. Marine Le Pen ha scelto il No e ha incassato una sconfitta onorevole, portando il Front National a un risultato storico mai prima raggiunto da suo padre Jean. Quella di Le Pen non è una sconfitta orfana, perché non ha esitato un istante ad attribuirsene la responsabilità. Le Pen è andata oltre: ha riconosciuto che il suo movimento è stato poco inclusivo, troppo radicale nei programmi e ondivago nei propositi. Le Pen ha dimostrato notevole intelligenza riconoscendo che questa strategia ha tenuto lontano dalle urne milioni di elettori e altrettanti ne ha convinti a votare Macron.
     L'analisi del voto nel campo di Le Pen rappresenta forse la vera e più significativa novità. L'antieuropeismo senza un'alternativa credibile non ha forza attrattiva sull'elettorato. Per quanto in affanno, l'Europa è vista ancora come un porto sicuro contro le insidie e le sfide della globalizzazione. Aver alimentato l'indignazione degli elettori per una crisi sociale fra le più lunghe e pesanti del dopoguerra, averne addebitato le cause a un globalismo senza regole e alle ondate migratorie fuori controllo, ha portato sicuramente a Le Pen i voti del malcontento sociale ma ha spaventato quella quota sempre rilevante di elettori timorosi di trovarsi in un Paese isolato, costretto ad affrontare gli stessi problemi senza la sia pur vacillante solidarietà europea.
     Le ragioni della sconfitta di Le Pen sono le stesse della vittoria di Macron. In mezzo, un vero bacino di astensioni e di schede bianche, cioè una larga parte della Francia che ha rifiutato la scelta fra i due candidati. È a questi settori della società francese che deve ora rivolgersi Macron nella sua azione di governo. E sempre a loro dovrà rivolgersi, con toni meno tranchant se non più rassicuranti, Marine Le Pen se vuole ritentare l'avventura dell'Eliseo. Meno anti europeista e più incerta nel rifiuto della moneta unica, Le Pen punta adesso ad un'operazione ambiziosa: assorbire quella vasta area di elettori gollisti delusi da Fillon e rimasti a casa o astenuti nel ballottaggio.
     È comprensibile che nelle cancellerie europee si tiri un sospiro di sollievo per uno scampato pericolo, anche se le ferite socialmente sanguinose della crisi sono tuttora aperte.  Macron porta in dote all'Europa un programma di governo impegnativo: la riduzione di 120.000 funzionari pubblici; il taglio di 75 miliardi di spesa pubblica in cinque anni; la fine controllata della settimana lavorativa di 35 ore, rimessa alla contrattazione aziendale. Sono scelte inevitabili per un Paese ansioso di trattare con la Germania su un piede di parità. Sono scelte mai compiute da alcun governo italiano e, c'è da temere, mai saranno compiute. Chi, come Renzi, spera di trovare in Macron un alleato per aumentare la pressione sulla Merkel e porre fine alla politica di austerità, deve prepararsi a fare scelte altrettanto impegnative.
     Se una lezione per l'Italia si può ricavare dal voto francese essa ci dice che mettere ordine nella finanza pubblica domestica è la condizione preliminare per presentarsi con la necessaria credibilità in Europa. Cosa che finora non è mai avvenuta se è vero che il pareggio di bilancio è una scelta che viene rinviata di anno in anno, dal 2014 fino al 2019. Il voto di ieri ha salvato l'orizzonte dell'Europa ma dice anche quanto lungo sia ancora il cammino che devono fare i singoli Paesi.

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