mercoledì 5 aprile 2017

DOPO IL VOTO DEL SENATO, MAGGIORANZA IN CONFUSIONE MA NON PUÒ CADERE


di Massimo Colaiacomo


     È difficile archiviare come un brutto incidente il voto con cui la Commissione Affari costituzionali ha eletto presidente il centrista Salvatore Torrisi e impallinato il candidato dem Giorgio Pagliari. Più ragionevole appare invece la lettura di chi vede in questo passo falso lo strascico della feroce contesa politica che scuote il PD da troppi mesi. Matteo Renzi non ha ancora smaltito l'euforia per l'ottimo risultato delle primarie di partito ed ecco che deve nuovamente tuffarsi nelle faide interne per venire a capo di una storia davvero brutta per lui. Il PD ha subito drammatizzato il voto della Commissione al Senato e ha chiesto un incontro al presidente del Consiglio e al presidente della Repubblica. A Paolo Gentiloni, interlocutore naturale, per rappresentare le fibrillazioni di una maggioranza sempre più in difficoltà sul fianco sinistro. Appare più inconsistente, se non una vera scivolata costituzionale, la richiesta di un colloquio con il Capo dello Stato. A Sergio Mattarella il PD non può certo chiedere di intervenire nella dialettica parlamentare: sarebbe del tutto improprio e un fuor d'opera che non si può pretendere da un custode accorto e autorevole edella Costituzione quale è Mattarella.
     A conti fatti, invece, è dentro il suo partito che Matteo Renzi dovrà guardare con più attenzione. A Pagliari sono mancati 5 voti dei 16 di cui dispone il PD. Con quei voti Pagliari sarebbe stato eletto senza difficoltà. In ogni caso, il pasticcio combinato al Senato è destinato sicuramente ad allargare le crepe nella maggioranza. I centristi del ministro Alfano messi sotto accusa hanno pensato bene di smarcarsi e mostrare la loro buona fede chiedendo a Torrisi di dimettersi. Il che aggiungerebbe un tocco di surrealismo a una vicenda probabilmente mal gestita dal capogruppo Luigi Zanda. La levata di scudi dei parlamentari renziani, sicuramente risentiti per il grave smacco politico, non sembra per tale da scuotere il governo. È ovvio che essa rappresenta un ostacolo in più sul percorso già travagliato che attende Gentiloni. Ma la dimensione politica di questa vicenda, come lo scontro mandato in scena ieri con il ministro dell'Economia, riguarda solo ed esclusivamente il malessere che scuote il Partito democratico all'indomani delle primarie e in vista di un congresso. La tentazione di azzoppare la strategia di Matteo Renzi in Parlamento, non potendolo fare nel partito, serpeggia in molti settori del PD e non risparmia nessuno dei suoi competitori.
     Si tratta ora di trovare una non facile via d'uscita. Sembra difficile, se non impraticabile, quella delle dimissioni di Torrisi. Uno schiaffo alla libera volontà del Parlamento non sarebbe tollerato dalle opposizioni pronte a loro volta ad appellarsi al Capo dello Stato. Chi ha voluto vedere in questo voto il tentativo di bloccare definitivamente la spinta di Renzi verso il Mattarellum è probabilmente più vicino alla realtà dei fatti. Renzi, forzando i propri gravi limiti caratteriali, può allora decidere di aprire una vera trattativa sulla legge elettorale e in questo modo neutralizzare i disegni, veri o presunti, che stanno dietro l'elezione di Torrisi. 

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