venerdì 8 maggio 2015

DA LE PEN A FARAGE, IL POPULISMO NON MORDE PIÙ (SALVINI AVVISATO)

di Massimo Colaiacomo


     La sconfitta di Nigel Farage ha sorpreso la provincia italiana, né più né meno come ieri, sia pure diversa per dimensioni, la sconfitta di Marine Le Pen. Stessa sorpresa, si può scommettere, le forze politiche mostreranno quando sarà il turno della sconfitta di Alternative für Deutschland ad opera di Angela Merkel. La marea montante dell'antieuropeismo tanto temuta dagli osservatori è dunque già finita? Oppure è in ripiegamento per insinuarsi all'interno dei partiti tradizionali? Per dire, David Cameron ha promesso il referendum sull'Europa da celebrarsi entro il 2017, un impegno per cui alcuni osservatori superficiali lo hanno iscritto d'obbligo tra le file degli antieruopeisti. Una valutazione quanto meno affrettata. La mossa di Cameron è apparsa spregiudicata, a un occhio velato di moralismo europeista, mentre è stata di una duplice efficacia, sul piano elettorale inglese e sul piano europeo. Sul piano interno ha neutralizzato la strategia arrembante di Farage, privandolo dell'esclusiva che tanta fortuna gli aveva portato nelle elezioni locali. Sul piano europeo, Cameron ha caricato un'arma da mettere sul tavolo di nuovi futuri negoziati (gli inglesi, si sa, dai tempi di Margareth Thatcher insistono nel volere i loro soldi indietro).
     È stato davvero brillante, Cameron. Almeno quanto lo è stato Sarkozy. Due strategie di contenimento del radicalismo di destra, individuato come l'avversario da combattere e dalla cui sconfitta hanno fatto nascere le rispettive vittorie. Una strategia diametralmente opposta a quella di un defunto centrodestra italiano, in eterna attesa di un necroforo di rango capace di tumularlo. Berlusconi vorrebbe, bontà sua, mettere assieme i moderati che comprendono il radicalismo da tre palle un soldo di Salvini e un diafano Ncd. Si tratta, ove l'operazione dovesse riuscire, di un'accozzaglia indigesta, che va nella direzione opposta a quella di Matteo Renzi impegnato a costruire un PD senza la zavorra dei birignao e delle distinzioni di minoranze variopinte. Si può obiettare che Renzi ha scelto procedure spicce e tali da far arricciare il naso a un'occhiata anche superficiale. Vero, anzi, verissimo. L'Italicum è agli antipodi del sistema elettorale inglese. A Londra, gli inglesi si sono scelti accuratamente ogni singolo deputato nei collegi dove la battaglia è stata spietata. Al punto che Nigel Farage è stato sconfitto dal candidato conservatore. Poi, a voler essere proprio pignoli, Ed Milliband e Nigel Farage, si sono dimessi con la velocità di un fulmine (qualcuno immagina Berlusconi dimissionario dopo una sconfitta?).
     Gli inglesi non hanno eletto un premier, come prevede l'Italicum, ma hanno eletto un Parlamento consegnando una maggioranza nelle mani di David Cameron. Ogni deputato di quella maggioranza dovrà rispondere agli elettori del collegio in cui ha vinto ogni volta spiegando perché vota provvedimenti del governo poco utili se non dannosi a quel territorio. È il senso vero e profondo di un sistema che voglia dirsi democratico nella scelta della rappresentanza parlamentare e nell'assunzione di una responsabilità nazionale in capo a ogni eletto.

     Chi potrà mai spiegare a Berlusconi che nessuna imitazione del Grand Old Party, per quanto esteticamente perfetta, si risolverà in una pagliacciata senza avere prima inoculato il virus della democrazia? Chi gli farà capire che Salvini non è un alleato ma il primo avversario da sconfiggere per tentare di costruire un grande partito conservatore e liberale? Chi gli spiegherà che per vincere le elezioni non serve "unire" ma dividere i moderati dai radicali e dai populisti e sfidarli con proposte e programmi seri? La risposta in tutti questi casi è semplice: nessuno. Chi ha cercato di farlo, come Raffaele Fitto, lo ha fatto in modo pasticciato e la conclusione è stata di fare le valigie e navigare altrove. Per il resto, ci sarà una fiera delle vanità dopo il voto regionale.






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